IL DISFATTISMO ALL’ITALIANA – di Claudio Magris

 

Che i mali, nel nostro Paese, abbondino è una realtà e che vadano combattuti è un dovere. Ma senza faciloneria preconcetta, senza schemi aprioristici.

Ad esempio mesi fa è stato commentato come una scandalosa pastetta il fatto che, in una chiamata o trasferimento a una cattedra universitaria in un Ateneo dell’Italia meridionale un candidato italiano, credo anch’egli del Sud, sia stato preferito a un candidato proveniente da una prestigiosa università anglosassone, non ricordo se Harvard o altra egualmente famosa. Non conosco il caso e può darsi benissimo che si sia trattato di un’indecorosa decisione basata su legami di conoscenza personale anziché di merito. Ma non è affatto detto che uno studioso laureato a Napoli, Padova o Torino debba essere considerato a priori inferiore a uno laureato a Cambridge o a Berkeley.

Per parlare di cose che conosco, ovvero della germanistica, se anni fa Giuliano Baioni o Cesare Cases, ahimè italiani e uno addirittura nato a Voltana di Lugo in Romagna, fossero stati preferiti, nella chiamata a una cattedra universitaria, a un collega di Yale o di Oxford, solo un ignorante avrebbe potuto gridare allo scandalo, perché i libri di Baioni o Cases su Kafka, Goethe, Mann o Brecht  per citare alcuni esempi  non temono confronto.

Quando insegnavo in uno dei più prestigiosi college statunitensi, il Bard College, su trentun studenti otto non avevano mai sentito parlare di Stalin e non avevano idea di chi potesse essere. Ho avuto recentemente occasione di vedere libri di testo di Storia usati in una Scuola Europea a Bruxelles: accozzaglie di documenti e argomenti senza nessuna logica né prospettiva storica e nemmeno inquadramento cronologico  leggendo i quali è impossibile imparare qualcosa. Naturalmente nessuna generalizzazione è lecita; sarebbe stupido e fazioso trinciare un giudizio sulla Scuola Europea avendo soltanto sfogliato un paio di libri disastrosi.

Si denunciano  giustamente  le condizioni in cui si trova la scuola italiana, la mancanza di fondi, le lungaggini burocratiche dei concorsi, la precarietà di moltissimi insegnanti, l’arretratezza tecnologica nel digitale. Ma si dimentica il lavoro improbo, innovatore, appassionato di tanti insegnanti (universitari, di liceo o di scuola media) che riescono a creare interesse e spirito critico fra i ragazzi, a far loro conoscere e amare l’arte, la letteratura o la matematica, a seguire con libertà di giudizio le trasformazioni epocali che stanno sconvolgendo in bene e in male la nostra vita. Ho spesso occasione di incontrare classi  medie inferiori e superiori, talora anche se più raramente elementari, e di trovare entusiasmo, fantasia, autonomia di gusto.

Di recente ho avuto purtroppo occasione di frequentare, per varie e serie difficoltà di salute in cui sono incorse persone a me care e vicine, ambulatori e ospedali privati e pubblici, soprattutto a Trieste e anche a Roma, e sono rimasto colpito dall’acutezza e competenza di alcuni medici e chirurghi di varie specialità, accompagnate da una notevolissima disponibilità umana e capacità di ascoltare con partecipe fermezza il paziente; ho visto dare a tutti i pazienti che vedevo loro affidati un confortevole senso di sicurezza, calore e civiltà. Ovviamente questa esperienza non può essere generalizzata e non toglie la gravità e l’indecenza di tanta malasanità., ma forse è giusto comunicare ogni tanto pure esperienze positive, visto che la nostra sanità è ritenuta una delle migliori al mondo da tutte le organizzazioni internazionali.

È ovvio che si parli quando c’è un male da denunciare e non quando tutto funziona bene; il signor Rossi finisce comprensibilmente sul giornale quando è autore o vittima di un delitto, non quando va a fare scrupolosamente il suo lavoro. Dunque, nessun «tutto va bene, Madama la Marchesa», bensì una vigile, dura e documentata accusa di tutto ciò che non va. Ma senza il banale e gregario compiacimento di dire, per ogni cosa che non va, «all’italiana» .

Magris Claudio

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