NON E’ GIORNALISMO!

E’ sbalorditivo (e interessante) osservare quanto sia facile manipolare l’opinione pubblica.

La diffusione di notizie imprecise o apertamente false sui media ormai è un fenomeno quotidiano: la più grande patologia del nostro tempo tra quelle di cui i giornali non parlano mai.

Le ragioni di questo fenomeno si possono intuire con facilità, e sono discusse quotidianamente anche tra gli addetti ai lavori a mensa o durante i vari festival del giornalismo: la verifica delle fonti superficiale se non inesistente, la ricerca di visibilità e lettori sparandola grossa, l’interesse smodato del pubblico per notizie assurde, morbose o in grado di suscitare reazioni emotive, la necessità di fare i conti con sempre maggiori richieste e minori risorse in tempi di tagli e crisi del settore.

Le smentite di queste bufale, quando e se ci sono, non trovano mai la stessa enfatica pubblicazione e virale diffusione della balla originaria, che intanto è tracimata e continua a vivere di vita propria: diventa un argomento di discussione nei talk show e davanti alla macchinetta del caffè, mentre sui giornali magari è stata a malapena derubricata a “giallo”.

La prima conseguenza è la perdita di credibilità dei giornali e di chi li fa: secondo un recente studio Edelman – che non ha sorpreso nessuno – la maggioranza assoluta degli italiani dichiara di non fidarsi dei media (un paradosso interessante, visto che la pubblicazione di queste “notizie” è spesso giustificata con l’aria che tira e con la necessità di attrarre lettori anche a costo di usare qualche trucco del mestiere).

 

Basta studiare un titolo ad effetto che faccia leva su emozioni forti (orrore, raccapriccio, sdegno), sbeffeggiare e insultare chi cerca di analizzare obiettivamente i fatti  in modo da scoraggiare qualsiasi voce fuori dal coro, cosicché tutti si affrettano ad allinearsi anche se nutrono qualche perplessità. Il giudizio viene sospeso e le emozioni prendono il sopravvento. L’abilità dei media è tutta qui.

The headline has to sell so put whatever grabs attention, don’t bore people with details,  like facts” ( Le testate devono vendere quindi metti qualsiasi cosa attiri l’attenzione, non annoiare la gente con dettagli, come i fatti).

L’aspetto più divertente (e preoccupante) è che tutti, ma proprio tutti affermano: “Io non sono manipolabile”, convinti di aver maturato autonomamente le loro opinioni. Inoltre, di solito chi è stato indotto a vedere la realtà sotto un’unica angolazione rifiuterà caparbiamente di considerare altri punti di vista, specie se si è sbilanciato prendendo posizione. Nessuno è disposto ad ammettere di aver sbagliato, specialmente a se stesso. Il lavaggio del cervello praticato dai media è talmente efficace che molti arrivano persino a negare l’evidenza.

Quante volte un presunto colpevole è stato sottoposto a linciaggio mediatico per poi accorgersi che era innocente? Eppure chi era stato convinto della sua colpevolezza rifiuterà qualsiasi prova a discolpa e continuerà a crederlo colpevole, argomentando la sua opinione con frasi stereotipate come: “non c’è fumo senza arrosto”, “se lo avevano accusato qualcosa avrà fatto” oppure dirà che i testimoni che lo difendono non sono attendibili e cercherà ogni motivo per screditarli.

Analizziamo, per esempio, i titoli comparsi su tutti i quotidiani relativi alla morte di Emmanuel Chidi Namdi: “Fermo, difende la compagna da insulti razzisti. Nigeriano picchiato a morte da ultrà locale

Osserviamo quanto è volutamente ambigua la frase:  “Difende la compagna da insulti razzisti” che porta ad immaginare una replica verbale seguita da un aggressione fisica da parte dell’ultrà. Anche il termine “ultrà locale” potrebbe far pensare ad un attacco di gruppo. “Picchiato a morte” fa pensare ad un pestaggio e non ad un solo pugno.

In realtà bastava leggere l’articolo per scoprire che Emmanuel aveva colpito per primo l’ultrà con un palo stradale staccato da terra e che l’ultrà si era difeso sferrando un pugno che aveva fatto cadere a terra il nigeriano, sbattendo la testa, purtroppo, in maniera letale. Molti non hanno evidentemente letto l’articolo, ma c’è persino chi lo ha letto senza riflettere, soggiogato dalla suggestione operata dal titolo.  Una volta compreso questo meccanismo si può indirizzare il pubblico in qualsiasi direzione.

Perché  è certamente inaccettabile e gravissimo, se confermato, l’insulto razzista da parte dell’ultrà, che andrebbe sanzionato per questo, ma ad un insulto si risponde verbalmente, altrimenti si diventa aggressori. Una aggressione che può essere motivata dalla rabbia e dal desiderio di difendere l’onore della compagna, ma pur sempre un reato più grave dell’insulto.

Questi sono i fatti raccontati dalla donna che ha chiamato la polizia: ” «Ero presente – ha detto la testimone che ha raccontato quanto accaduto agli inquirenti – e voglio precisare che quel povero ragazzo nigeriano, prima di cadere a terra per un pugno subìto, si è reso protagonista di un vero e proprio pestaggio del 39enne fermato. Per quattro o cinque minuti è stato attaccato simultaneamente dal giovane di colore e da sua moglie. Lui (Emmanuel, ndr) addirittura lo ha colpito con un segnale stradale trovato nei pressi facendolo cadere a terra e poi hanno continuato a picchiarlo. Quando ho visto quella scena, ho chiamato la polizia perché temevo per l’incolumità del 39enne fermano, che ha reagito con un colpo, purtroppo per la vittima, ben assestato. Qualcuno ha cercato di intervenire, ma è stato preso a scarpate dalla moglie del giovane di colore.”

La politica ha poi strumentalizzato l’accaduto e, ovviamente, se fosse morto l’ultrà a seguito del pestaggio da parte della coppia nigeriana l’episodio sarebbe stato strumentalizzato dalla parte avversa.

http://www.ilrestodelcarlino.it/fermo/nigeriano-ucciso-testimone-mancini-1.2325426

Amedeo Mancini “ha un grosso ematoma sul costato che gli provoca forti dolori e un’altra ferita ad un braccio che potrebbe essere un morso o una sprangata, oltre a varie lesioni più lievi in altre parti del corpo” ha raccontato ai giornalisti l’avvocato Francesco De Minicis. Le lesioni dell’ultrà sono state oggetto di un accertamento irripetibile condotto nell’infermeria del carcere di Marino del Tronto dal medico legale Alessia Romanelli.

Purtroppo, come spesso accade in Italia, l’episodio di Fermo è ormai un caso di scontro politico. Una analisi obiettiva dei fatti non interessa nessuno, i dubbi non sono ammessi, occorre schierarsi con decisione, dimostrare inequivocabilmente di appartenere ad una fazione o all’altra. Così emergono grottesche interpretazioni dei fatti e della legge; chi santifica il fermano, chi santifica il nigeriano. Per come la vedo io, la verità come al solito sta nel mezzo: entrambi erano tipi aggressivi, violenti e litigiosi, perché una persona “normale” non insulta un uomo o una donna di colore chiamandola “africans scimmia” e una persona “normale” non reagisce ad un insulto colpendo l’altro con un palo di ferro. Vergognosa l’affrettata presa di posizione da parte della politica, vergognosa la disinformazione praticata dai media che continuano ad alimentare lo scontro con notizie volutamente ambigue e contraddittorie, vergognosa la gogna mediatica e gli attacchi ingiuriosi cui sono stati sottoposti i testimoni (c’è chi arriva ad affermare che tutti e 4 dichiarano il falso). Non so come faranno giudici e inquirenti a decidere serenamente nel clima che si è creato.

(Nella foto si vedono alcuni nigeriani dietro Emmanuel Chidi Namdi, seduto sul marciapiede e non ancora in coma, e la moglie davanti a lui. In primo piano l’ultrà, Amedeo Mancini, con il braccio tumefatto. Questa foto dimostra quanto siano inaffidabili i media -e i politici.)

2 commenti

  1. Il fatto è che la testimonianza della donna è tutt’altro che da prendere per oro colato essendo contraddittoria e fornita agli organi di polizia in versione che non collima con quanto detto al quotidiano locale. Ricostruzione assolutamente improbabile: se l’omicida era stato sottoposto dalla vittima ad un pestaggio così violento da far temere per la sua vita, non si capisce in che modo abbia potuto sferrare un colpo così letale. Ricordiamoci che l’omicida, tutt’altro che un agnellino, aveva ricevuto un daspo dalla questura quale violento tifoso ultrà.
    Che il potere mediatico sia fortemente condizionante l’opinione pubblica dovrebbe essere a tutti un dato noto se non scontato. Ma sarebbe opportuno, in questo frangente, di non affrettarsi a trarre conclusioni prima della chiusura delle indagini di polizia.

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    • Sono d’accordo, infatti i media avrebbero dovuto usare maggiore cautela nel riportare il fatto e attendere che fosse stata fatta chiarezza da parte degli inquirenti. Purtroppo, come ho scritto, i media devono “vendere” e un titolo più obiettivo e neutrale non avrebbe suscitato tanto clamore.

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