Delusa dal partner di lunga data che la tratta con freddezza intollerabile, la bella Italia minaccia la rottura e si ventila addirittura la possibilità che possa tornare single.
Con la sua bellezza conturbante, le morbide curve mollemente adagiate in uno dei luoghi più attraenti del pianeta, è sempre stata l’oggetto del desiderio dei potenti del mondo.
Anche adesso che è malata, anzi forse ancora di più in questo frangente in cui la vedono fragile e bisognosa di cure, diversi pretendenti si fanno avanti.
Incoraggiati dal suo carattere accomodante e dalla sua natura alquanto ondivaga, nutrono tutti l’illusione di poterla conquistare.
Il corteggiatore russo punta sul romanticismo e le invia doni accompagnati da un tenero messaggio “from Russia with Love!”.
Il contendente cinese, più pratico, interviene rifornendola di materiale sanitario utile a curare le sue recenti ferite.
Benché distratto dai propri problemi domestici, al nord americano non sfugge il rischio di vedersi scalzare da uno dei due storici rivali, cosicché conforme alla sua indole materialista, si affretta a inviarle denaro.
Finalmente consapevole del rischio di perderla realmente, il partner di sempre cambia tono, chiede scusa e giura eterna fedeltà all’amata.
Chi vincerà la contesa?
Difficile dirlo, ma ricordiamo che la bella Italia ha secoli di esperienza nel saper tratte vantaggio dalla bramosia dei numerosi conquistatori che l’hanno più volte stuprata e posseduta, flirta con molti ma non si concede a nessuno.
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Una considerazione riguarda la gara cui si è assistito tra i donatori per aiutare lo stesso beneficiario inaspettato, ovvero l’Italia. Per la verità, la donors competition è un fenomeno non nuovo, osservato in non pochi scenari di crisi degli ultimi decenni.
(COVID-19, LA GUERRA GLOBALE DI AIUTI. IGOR PELLICCIARI SPIEGA IL CASO ITALIA)
Ognuno si chiede quali saranno i cambiamenti che si lascerà dietro questa crisi.
È probabile che sul piano geo-politico le conseguenze saranno di tale portata da non essere tutte ora prevedibili. Ce ne accorgeremo con ritardo e a rilascio progressivo, spesso a cambiamenti già consolidati. Come dopo un furto in abitazione, quando si continua a scoprire via via nelle settimane ciò che manca in casa.
Alcuni trend sono visibili già da ora: uno su tutti – la rafforzata centralità degli aiuti internazionali nel definire le relazioni tra Stati sovrani .
Va detto che è da censire come “aiuto tra Stati” non solo quello classico umanitario o della cooperazione internazionale – ma qualunque trasferimento a condizioni favorevoli tra un donatore ed un beneficiario, a prescindere dall’oggetto della transazione stessa (e quindi vanno considerati anche trasferimenti di energia, finanza, armamenti, know how tecnologico…).
Non è un fenomeno nuovo ma è interessante il vigore che ha registrato in questi giorni.
È dalla Seconda Guerra Mondiale che aiuti organizzati da Stati e/o organizzazioni internazionali hanno inciso sul ridefinirsi delle relazioni internazionali una volta usciti dalle crisi.
Si è così detto e scritto poco sugli interessi legati agli aiuti di Stato internazionali, ovvero quel set di obiettivi “razionali” di politica estera – di rado dichiarati – che ogni Stato-Nazione ha quando decide di privarsi di proprie risorse a favore di soggetti terzi stranieri.
Se uno Stato organizza un aiuto non lo fa per le stesse logiche altruistiche che muovono un individuo ad essere un donatore, ma ha degli obiettivi di politica estera che è importante comprendere, senza cadere nella tentazione di santificarli o demonizzarli. L’aiuto è un potente strumento di obbligazione politica in mano al Paese donatore, elemento della sua power politics (politica di potenza), al pari di strumenti tradizionali come la diplomazia classica, il commercio, la guerra.
Grande attenzione in questi giorni ha suscitato l’annuncio dell’arrivo di assistenza medica all’Italia proveniente da Cina, Russia e Usa (peraltro davanti a un’apparente inerzia dell’Ue nel regolamentare la distribuzione interna di materiale medico di emergenza).
Senza volere sminuire i bisogni che questi aiuti andranno a colmare, si possono intanto fare delle prime riflessioni sulla novità di questa situazione e sulle ripercussioni che avranno nel sistema delle relazioni donatore-beneficiario.
La prima riguarda l’eccezionalità dello status del beneficiario di questi aiuti, ovvero l’Italia: Paese del G7 e una delle principali economie mondiali, con un consolidato sistema politico costituzionale democratico.
Non esistono – nella dinamica donatore\beneficiario – precedenti storici di rilievo di Paesi riceventi aiuti di tale livello di sviluppo al contempo politico ed economico-sociale, se non gravati dall’instabilità di una transizione post-bellica (nei Balcani) e\o post-autoritarie (i paesi nati dalla fine dell’Urss).
Questo significa che i donatori – a crisi finita – potranno usare la loro posizione di forza per trarre benefici maggiori da un beneficiario che ha qualcosa da offrire perché tutt’altro che sottosviluppato o senza un governo certo. Tanto più che l’Italia, nonostante una cronica debolezza politica internazionale, ha sviluppato negli ultimi decenni una diplomazia culturale e commerciale che ne ha aumentato il peso e l’attrattiva geopolitica a livello internazionale, anche se lungo direttrici diverse rispetto a quelle del periodo della Guerra Fredda.
La seconda riflessione riguarda il tratto che accomuna i donatori dell’Italia. Sono tutti campioni dell’idea di un Mondo costituito da pochi Stati-Nazione.
Dalla Cina, alla Russia, agli Usa, gli aiuti vanno a rafforzare un rapporto diretto tra Stati, tagliando fuori i livelli sovranazionali.
Senza avventurarsi in previsioni sulle future fortune politiche delle opzioni sovraniste, è tuttavia prevedibile che il Covid-19 darà il colpo di grazia a un certo multilateralismo, già in profonda crisi prima di questa pandemia, a tutto vantaggio di una dimensione bilaterale delle relazioni diplomatiche, con al centro la difesa degli interessi dello Stato-Nazione. Riascoltare oggi il discorso di Trump alle ultime Assemblee Generali dell’Onu suscita molta meno ilarità di quella che lo accolse all’epoca tra gli addetti al settore.
Se lo Stato-donatore indirizza il proprio aiuto per degli obiettivi di ritorno politico, spesso si è assistito a scenari con più donatori che beneficiari, intesi non come Paesi con un particolare tipo di bisogno ma come target geopoliticamente interessanti per giustificare il costo di un intervento.
Questo ha portato spesso (vedi in Bosnia e Kosovo) a fenomeni di donors overload (sovraffollamento di donatori in uno stesso scenario) e aid overlap (sovrapposizione di aiuti sullo stesso beneficiario).
Nel mondo post-bipolare con una mancanza di chiarezza (e di accordo) sulla spartizione delle zone di influenza tra i grandi key players, è probabile che il Covid-19 porti a replicarsi altrove la competizione tra donatori che abbiamo visto nel caso italiano. È presumibile che vi sarà un moltiplicarsi di crisi sub-regionali in forma di “guerre degli aiuti” per accaparrarsi prima il beneficiario, tanto più se inaspettato e sviluppato come nel caso italiano e puntellare un influenza geopolitica su nuove zone divenute improvvisamente accessibili.
Parafrasando Von Clausewitz, se è vero che la guerra è continuazione della politica con altri strumenti, allora gli aiuti (dati e ricevuti) saranno un’altra forma di guerra.
In tutto ciò la Golden Card sarà nelle mani dello Stato che riuscirà per primo a produrre (non necessariamente a creare) il vaccino contro il Covid-19 e controllarne la distribuzione a paesi terzi. Sarà uno strumento, potentissimo, di obbligazione politica; che ridefinirà zone di influenza e alleanze per gli anni a venire. Almeno fino alla prossima pandemia.
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