Perché l’Italia ha il più alto numero di pazienti deceduti positivi a COVID-19?

L’Italia spicca per un tasso di letalità insolitamente alto e fuori scala rispetto a quelli degli altri paesi.

Il motivo principale è che il modo di raccogliere i dati differisce tra i vari paesi coinvolti, ci sono spesso discrepanze e numeri che vengono rivisti, man mano che le rilevazioni diventano più accurate.

Germania e Francia, ad esempio, contano tra i decessi solo le persone morte ESCLUSIVAMENTE  “di” coronavirus, senza altre patologie pregresse. Cioè le persone morte di polmonite da Covid-19.

L’Italia, al contrario, conta tra i decessi tutti i pazienti positivi al coronavirus. Esemplificativo il caso della donna di Casalpusterlengo, morta di infarto, alla quale è stato praticato un tampone post-mortem che ha rivelato la positività al coronavirus ed è stata quindi conteggiata tra le prime vittime.

Nella relazione del 13 marzo scorso, l’ISS ha confermato che in Italia solo 3 persone sono morte esclusivamente a causa della polmonite atipica causata dal coronavirus. Gli altri pazienti sono deceduti «con» la compartecipazione del Covid-19, ovverosia, per l’aggravarsi delle altre patologie – alcune gravi – già presenti nei soggetti deceduti.

L’esistenza di patologie pregresse, in particolare quelle che compromettono cronicamente la risposta immunitaria (p. es.neoplasie) ma anche altre che compromettono gravemente questa risposta (p. es. interventi di chirurgia e traumi multipli), aumentano l’incidenza dell’infezione e le probabilità di esito infausto della malattia.

Questa diversa modalità di raccolta dei dati falsa la percentuale sulla letalità del virus e tutte le previsioni basate su di essa. Insomma, non è aspetto di poco conto stabilire se il virus ha il 5% di letalità come indicherebbe la mortalità in Italia, oppure il 0,7-1% come indicato dai dati degli altri paesi.

Lo stesso discorso vale per i pazienti ricoverati in terapia intensiva: quanti di questi lo sono per patologie diverse ma sono conteggiati perché positivi ANCHE al coronavirus?

Occorrerebbe arrivare a un protocollo unico indicato dall’OMS in grado di stabilire il reale numero dei casi e dei decessi paese per paese. 

Epidemiologi e analisti si interrogano su cosa abbia determinato i molti decessi nel nostro paese, e le ipotesi più condivise sono legate all’età media della popolazione, più alta in Italia rispetto a quella di diversi altri paesi in cui si è diffusa l’epidemia.

Età e COVID-19

Jennifer Beam Dowd, epidemiologa e demografa dell’Università di Oxford, ha realizzato insieme a un gruppo di colleghi un interessante studio preliminare sul caso italiano, per capire come un’alta percentuale di anziani sulla popolazione possa influire sul tasso di letalità. Lo studio è stato pubblicato in anteprima, in attesa di una verifica alla pari e della sua successiva pubblicazione su una rivista scientifica.

Lo studio di Dowd e colleghi conferma che la COVID-19 pone un rischio molto alto per i più anziani, soprattutto nelle fasce tra 70-79 e 80-89 anni. In Italia quasi un quarto della popolazione ha più di 65 anni, e questo aumenta il rischio di un duro impatto della malattia sul nostro paese.

Il grafico qui sotto mostra la quantità di decessi per COVID-19 sul totale della popolazione. Allo stato attuale, l’Italia è il paese più a rischio proprio perché ha una popolazione tra i 70 e i 90 anni molto consistente.

Ma è evidente che l’età media della popolazione, più alta in Italia, non giustifica da sola l’enorme discrepanza tra i malati gravi e i decessi in Italia paragonati ai numeri degli altri Paesi.

L’ultima analisi effettuata dall’ISS fa un po’ di chiarezza su questi aspetti.

Sulla base delle indicazioni emanate dal Ministero della Salute nella Circolare pubblicata il 25 febbraio 2020 (protocollo 0005889-25/02/2020), la certificazione di decesso a causa di COVID-19 deve essere accompagnata da parere dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS). Per questo motivo, è stato creato un gruppo di lavoro dedicato allo studio delle cause di morte dei pazienti deceduti che risultavano positivi all’infezione da SARS-CoV-2.

L’analisi si basa sui dati contenuti nelle cartelle cliniche e nelle schede di morte ISTAT recanti le cause di decesso di questi pazienti.

Al momento, risultano esaminate il 26,4 % delle cartelle cliniche (268 su 1016 deceduti) pervenute all’ISS, l’Istituto sanitario italiano massimamente competente.

Il campione è comunque già abbastanza statisticamente significativo per convincere l’Istituto a darne diffusione.

Tre dei pazienti sono deceduti per la patologia denominata Covid-19, gli altri pazienti «con» la compartecipazione del Covid-19, ovverosia, questo nuovo virus si è aggiunto aggravando altre patologie – anche gravi – già presenti nei soggetti deceduti.

Mediamente, coloro che sono deceduti « con » Covid-19 presentavano altre 2,7 patologie in particolare :

  • Ipertensione arteriosa (il 76,5%),
  • Cardiopatia ischemica (il 37,3%),
  • Diabete mellito (altro 37,3%),
  • Fibrillazione atriale (26,5%),
  • il Cancro (19,4%).

Dei deceduti esaminati – è stato aggiunto – che la loro età media era di 79,4 anni e che solo il 28,4% erano donne. La letalità, comunque, tende ad aumentare in maniera marcata dopo i 70 anni.

L’età mediana dei soggetti “influenzati” da Sars-Cov-2 è invece di 64 anni e, inoltre, il 75% dei deceduti era lombardo, il 14,4% risiedeva in Emilia-Romagna, il 4,4% in Veneto e l’1,8% in Piemonte.

Solo due deceduti avevano meno di quarant’anni. Tali soggetti, tuttavia, già soffrivano di altre patologie. In particolare, una donna di 39 anni era affetta da “patologia neoplastica” mentre un uomo di 39 anni era obeso ed affetto da diabete oltre che da “patologie psichiatriche”.

Quindi, in conclusione, l’identikit medio del deceduto « con » Covid-19 è : Lombardo, ultrasettantenne ed uomo.

Questi, all’insorgere della malattia, nell’80% dei casi, resta colpito da dispnea (difficoltà a respirare) e da febbre, solo nel 45% dei casi anche da tosse. Molto più rari (4%) altri sintomi : diarrea e emottisi (tosse con sangue).

E’ ancora presto per giungere ad una conclusione medica che spieghi questo “identikit”. Parlare oggi, di conseguenze cronicizzate dall’inquinamento dell’aria e dal fumo della sigaretta appare non conclamato e pure prematuro.

Il nostro Coronavirus non viene né da Africa nè da Cina

Anche questo dato è confermato dal comunicato ufficiale dello scorso 10 marzo dell’Istituto superiore di Sanità: « La trasmissione dell’infezione da Sars-Cov-2 è avvenuta in Italia per tutti i casiad eccezione dei primi tre segnalati dalla regione Lazio che si sono verosimilmente infettati in Cina, ed è stata poi segnalata dalla regione Lombardia una persona di nazionalità iraniana, tuttavia non è stato indicato dove possa essere avvenuto il contagio anche se la persona si è verosimilmente infettata in Iran ».

***

Cause di morte in Italia dall’inizio del 2020

Sull’emergenza coronavirus i numeri di Berlino non sono così trasparenti: i numeri dei deceduti con patologie pregresse non viene conteggiato.

Il punto è che Berlino sui numeri del contagio non la dice tutta, se pensiamo anche al divario incredibile fra Germania e Italia sulle persone decedute: 12 (o 23, a seconda della fonte) a 2500. Perché? Come riporta Libero, che cita il quotidiano berlinese Tagesspiegel, la risposta è molto semplice: in Italia chi perde la vita a causa del Covid-19, viene inserito nella lista dei decessi per la pandemia. In Germania, al contrario, se il malato aveva già una malattie pregresse, non viene conteggiato. Stesso discorso sui tamponi: in Germania ci sono “solo” 7.156 positivi accertati? Se l’Italia non ha adottato la misura dei tamponi a tappeto come in Corea del Sud, nel Paese tedesco, complice anche la scarsa trasparenza dei Länder, farsi fare un tampone è opera ancora più difficile e ardua.”

 

 

Letter to Dr. Dowd

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