di Patrizia Ciava
Dopo gli attentati di Parigi, sembra che la concezione generale del “politically correct” abbia subito un repentino cambio di rotta.
Prima del 13 novembre se qualcuno poneva dei dubbi sull’Islam o sulla immigrazione di massa veniva tacciato di razzismo o di islamofobia ed emarginato dai “benpensanti”. Ora, se qualcuno prova ad elencare le responsabilità dell’occidente nella “guerra” contro l’ISIS viene accusato di voler giustificare i terroristi (se non addirittura di esserne complice).
Sembra che non si riesca ad avere una visione obiettiva e coerente sulla questione. Da una parte ci sono gli islamofobi che identificano tutti i musulmani con terroristi assettati del nostro sangue, si sentono vittime innocenti di attacchi ingiustificati e non riconoscono alcuna responsabilità all’occidente. Dall’altra ci sono quelli che sostengono che l’ISIS non rappresenta l’Islam visto che uccidono anche musulmani (ignorando il conflitto tra sunniti e sciiti), pensano esista una sorta di Islam laico che antepone la democrazia al proprio culto e sottovalutano ( o non conoscono) la natura teocratica e globale della religione musulmana che associano ad altre religioni come buddismo, induismo, ebraismo. Appare invece evidente, oggi, che in seno al mondo musulmano l’idea dell’accettazione della laicità, o del secolarismo, è estremamente remota e che democrazia e islam siano una dicotomia inconciliabile.
Eppure non possiamo continuare a dividere il mondo in “good guys” e “bad guys” (buoni e cattivi) con la tipica superficialità americana che sta, ahimé, contagiando anche l’Europa. Occorre avere una visione disincantata e il più possibile equanime per affrontare un conflitto che coinvolge tutti noi, da Oriente a Occidente.
Ascoltare dichiarazioni da parte di governanti occidentali che giustificano bombardamenti e invasioni di stati sovrani asserendo di farlo per fini umanitari è irritante, non solo per i musulmani, e non fa che acuire le divisioni e fomentare risentimento e ritorsioni.
Le opinioni apparse sulle piattaforme e sui social network all’indomani degli attentati di Parigi dimostrano che i jihadisti pongono sullo stesso piano le vittime di attentati in paesi europei e le vittime delle guerre “imperialiste” nel mondo musulmano. Ad esempio, un olandese che si definisce combattente dell’Is scrive: “Sono favorevole agli attentati di Parigi tanto quanto il governo francese è favorevole a bombardare e terrorizzare musulmani innocenti in Siria, in Iraq e altrove. Vi sembra coerente che il sangue dei musulmani scorra da decenni senza suscitare alcuna indignazione? Eppure, quando noi rispondiamo, e gli togliamo ciò che loro tolgono a noi, servendoci dei loro stessi mezzi, la fanno tanto lunga”.
Questa simmetria è giudicata insostenibile da ogni lettore occidentale che rifiuti di porre sullo stesso piano un atto di terrore assoluto, come l’attentato in una sala da concerto o in un ristorante, e operazioni militari condotte da un esercito regolare contro obiettivi teoricamente mirati e legittimi.
Tuttavia è evidente che le avventure militari occidentali di quest’ultimo decennio – quella in Afghanistan, dove, agli occhi di parte della popolazione, i “liberatori” del 2001 si sono trasformati in “occupanti”, e soprattutto quelle del 2003 in Iraq e del 2011 in Libia, che hanno provocato la dissoluzione di stati e un caos senza fine – hanno screditato i nobili discorsi delle grandi democrazie.
La pur legittima compassione degli occidentali per le “loro” vittime del terrorismo non dovrebbe indurli a dimenticare le altre vittime del terrorismo, né a rinunciare a farsi un esame di coscienza sul modo in cui loro stessi si comportano, soprattutto nei paesi arabi o musulmani.
Le parole pronunciate dal presidente francese François Hollande a Parigi, che sembravano quasi anticipare l’azione jihadista all’hotel Radisson Blu di Bamako, suonano come la solita stucchevole propaganda pro domo sua. “Nel 2013 la Francia ha aiutato il Mali perché i terroristi si erano accaniti contro la cultura del Mali, avevano distrutto i simboli della cultura, imposto divieti, le donne erano state sottomesse, gli uomini umiliati. La Francia ha dovuto prendersi le sue responsabilità e portare avanti azioni importanti. Per questo i terroristi ci considerano nemici » ha detto ai francesi il capo dell’Eliseo.
Il Mali è il terzo produttore mondiale d’oro e possiede notevoli giacimenti di carburanti fossili e uranio, tutti gestiti e sfruttati proprio da compagnie francesi. L’ampia produzione energetica basata sul nucleare, ha reso fondamentale per la Francia la difesa dei propri interessi in Mali. Per quanto riguarda il petrolio, presente nell’area è la Total, compagnia petrolifera francese partecipata al 3% anche dal Qatar. Quando la Francia inviò l’esercito in Mali fu accusata di voler restaurare forme di colonialismo, all’insegna di una nuova Franceafrique, ma nessuno la fermò.
Non possiamo ignorare che la politica americana e francese in Medio Oriente ha fortemente destabilizzato l’intera area e che il terrorismo islamico è soprattutto una conseguenza dell’ingerenza occidentale. Molti oggi si chiedono per quale motivo non c’è mai stata da parte degli Stati Uniti e dell’occidente una ferma volontà di combattere l’ISIL (lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante). La risposta è da cercare nel patto di ferro che lega Washington a Riad e che condiziona la politica estera americana quanto l’alleanza con Israele. L’Arabia Saudita è il più oscurantista degli Stati islamici sunniti e appoggia il jihadismo internazionale con cui condivide il progetto, interrotto dalle potenze europee, di creare un unico Medio Oriente islamico, il Grande Califfato sunnita radicale. Il problema è che gli americani, per non rovinare i rapporti con i sauditi, devono espiare la “colpa” di aver appoggiato gli sciiti in Iraq dopo la caduta di Saddam, guidando coalizioni internazionali che non mirino ad abbattere il Califfato ma a contenere l’Iran a maggioranza sciita e liquidare l’alawita Assad (gruppo minoritario affiliato agli sciiti) che governa una Siria a maggioranza sunnita. La monarchia saudita è anche il principale cliente degli armamenti francesi che solo quest’anno, con l’acquisto di reattori nucleari per 12 miliardi di dollari, ha salvato l’Areva dal fallimento. Ora, l’intervento della Russia ha messo in crisi queste alleanze ed è stata proprio l’inerzia statunitense, e occidentale in generale, ad aver creato le condizioni perché Mosca scendesse in campo. Secondo la stampa araba, la regione è ancora una volta al centro degli sporchi giochi di interesse delle grandi potenze.
In passato i leader non avevano paura di apparire “cattivi”, enunciavano chiaramente le vere motivazioni per cui scatenavano guerre, che erano – sono e sempre saranno – brama di potere, conquista di nuovi territori e/o interessi economici. L’esigenza della “democrazia” oggigiorno impone invece di convincere l’opinione pubblica che si combatte per una causa nobile e giusta, attraverso l’arma del controllo mediatico.
Tuttavia, il comportamento degli occidentali nei confronti dell’Islam assume a volte anche delle connotazioni di ingenuità difficili da spiegare.
Interveniamo militarmente in Medio Oriente come fosse una nostra prerogativa, ci arroghiamo il diritto di decidere chi deve governare quei paesi, mettiamo sotto accusa, spodestiamo e uccidiamo i loro leader, e poi cadiamo dalle nuvole se loro si sentono in guerra con noi. Dopo aver invaso e destabilizzato le loro terre, dopo esserci accaparrati delle loro risorse, li accogliamo nelle nostre nazioni pensando così di risolvere tutto. Gli offriamo lavori sottopagati, li sfruttiamo e ci aspettiamo che siano riconoscenti per il solo fatto di averli ospitati.
Non riusciamo a concepire che il nostro modello di vita possa non rappresentare l’ideale per tutti gli altri popoli. Diamo per scontato che tutti ci invidino la nostra presunta democrazia, la nostra presunta libertà, la nostra presunta uguaglianza, mentre chi ci osserva dal di fuori è più consapevole di noi che questi ideali non sono mai stati realizzati. Presumiamo che le donne musulmane siano tutte “sottomesse” non per volontà propria e che vogliano essere “liberate”, e se non lo vogliono è perché sono state plagiate. Abbiamo deciso arbitrariamente che indossare il velo sia sinonimo di arretratezza culturale e di schiavitù mentre non poter passeggiare in bikini al di fuori della spiaggia sia segno di civiltà. Noi donne occidentali possiamo forse girare nude per le strade senza essere arrestate per oltraggio al pudore? Sono tutte ipocrisie, ma non ci soffermiamo mai a riflettere. Ad essere plagiati sono sempre gli altri.
Continuiamo a voler distinguere tra Islam moderato ed estremismo o fondamentalismo, attribuendogli connotazioni che possono essere valide forse per noi, ma senza avere la più pallida idea di cosa sia realmente l’Islam.La nostra concezione laica dello stato, che prevede una totale separazione tra religione e politica, è assolutamente estranea al mondo islamico che ha invece una concezione teocentrica. Gli stessi termini di “laicità” e “laicismo”, presenti nelle lingue occidentali, non appartengono al lessico della lingua araba. La concezione islamica prevede che tra fede e cultura, fede e politica non vi sia alcuna distinzione ma completa fusione. Questa visione tutta centrata sulla religione, antagonista rispetto all’idea dello stato moderno e particolarmente avversa al laicismo, ci fa pensare per analogia alla visione medievale, interamente dominata dalla onnipotenza del divino rispetto alla sfera dell’umano. La maggior parte degli occidentali associa il “mussulmano moderato” al cattolico non praticante e tollerante verso le altre religioni. Ma questa è una contraddizione in termini perché l’Islam è una teocrazia che ingloba politica, etica, abbigliamento, è un sistema di vita e chi la pratica ha aderito ad ogni suo precetto. Con estrema superficialità – e ignoranza – definiamo alcuni musulmani “buoni” perché vittime anch’essi di quelli “cattivi”, senza considerare la lotta in atto tra sciiti e sunniti. Anche da noi, nei secoli scorsi, i cattolici uccidevano i protestanti, considerati “eretici”, eppure erano tutti cristiani. Quanti “eretici” furono bruciati proprio nella Francia che oggi si è risvegliata incredula, addolorata e stupita? Nel 1540 tutti gli abitanti di Merindol – uomini, donne e bambini – furono arsi vivi solo per aver aderito alla fede dei protestanti Evangelici. La Chiesa, con la Santa Inquisizione, si è macchiata di crimini orrendi contro l’umanità ma nessuno in quell’epoca li avrebbe condannati come tali. Nessuno si sarebbe sognato di predicare la tolleranza o di affermare che ciascuno poteva essere libero di praticare la propria religione. La libertà religiosa è un concetto piuttosto recente, nato in Occidente, che fatica ad attecchire altrove.
I più sprovveduti, e non sono pochi nemmeno tra i politici, suddividono addirittura i musulmani in “moderati” e “terroristi” annoverando tra i moderati quindi tutti quelli che si dissociano dalla violenza. Certamente, i musulmani generalmente non condividono l’idea che si debba islamizzare l’occidente con le armi e sono persone pacifiche. La stragrande maggioranza dei musulmani condanna gli atti di terrorismo, ma la stessa maggioranza crede che la legge della Sharia sia la più giusta, perché dettata direttamente da Dio, e che debba essere legge di Stato. Perché è così difficile per noi capire che i musulmani non ammirano il nostro modello di vita, non vogliono imitarlo, non vogliono integrarsi? Per loro siamo degli infedeli che conducono una vita corrotta e immorale, e la loro aspirazione è quella di far trionfare ovunque si trovino la legge della Sharia. Come ai tempi in cui la Chiesa riteneva che per esaudire il volere di Dio si dovesse cristianizzare il mondo intero. Da una parte c’erano i crociati che imponevano con la forza il loro credo combattendo i miscredenti, dall’altra i missionari che andavano pacificamente ad evangelizzare i poveri “selvaggi”, convinti di far loro del bene perché solo morendo da cristiani sarebbero andati in paradiso.
Noi riteniamo di esserci evoluti perché abbiamo superato l’intolleranza religiosa secoli fa, ci consideriamo civili e progrediti perché abbiamo ripudiato i nostri ideali e i nostri valori sostituendoli con aspirazioni pratiche e materiali. Noi non crediamo più esista una causa o un Dio per cui valga la pena morire, loro sì. Per questo sono più forti, per questo ci disprezzano.
Chi ha torto, chi ha ragione? Impossibile stabilirlo. Dovremmo accettare semplicemente l’evidenza di essere diversi e incompatibili, perlomeno in questo momento storico. Dovremmo ammettere che la nostra formula di tolleranza e integrazione non è l’aspirazione di ogni individuo e che non può risolvere ogni controversia. Se vogliamo vivere tranquilli nelle nostre nazioni, dovremmo smetterla di interferire nelle loro, dovremmo smetterla di decidere cosa è giusto o sbagliato per popolazioni che non condividono il nostro modello di vita. Ciascuno dovrebbe poter vivere in casa propria e seguire il credo che vuole.
Se non operiamo per riportare pace e stabilità in quella regione e arginare gli esodi biblici degli ultimi mesi tra pochi anni, in molti paesi europei specie del Nord, i musulmani saranno in maggioranza, poiché hanno un tasso di natalità tre volte superiore al nostro, potranno eleggere i loro rappresentanti e imporre le loro leggi. In Svezia 55 zone sono già a maggioranza musulmana e sotto la legge della Sharia; in Belgio, dove la comunità islamica ha già raggiunto il 40% della popolazione e il nome più diffuso da anni è Mohamed, esiste un partito ufficialmente accrediatato dal nome eloquente “Sharia4Belgium”; in Olanda, dove addirittura l’Aia, la sede del governo, è ormai chiamata la «città jihad», ci sono interi quartieri a maggioranza mussulmana sottoposti alla sharia. Questa prospettiva continua ad essere inspiegabilmente ignorata dai nostri governanti. Non si tratta di alimentare odio o xenofobia ma di prendere atto di una realtà che toccherà le prossime generazioni e che potrebbe cambiare per sempre il volto dell’Europa, perché l’Islam non è solo una religione, ma incide su ogni aspetto della vita, dall’abbigliamento all’etica, dalla legge alla politica. In pratica abbiamo in casa una bomba ad orologeria già innescata, ben più pericolosa e devastante del terrorismo, e abbiamo poco tempo per evitare che esploda disintegrando il nostro modello di vita e quello che rimane dei nostri valori, della nostra democrazia e della nostra libertà.