MA LA GIOVINEZZA È DAVVERO UN ATOUT?

“Il Governo Renzi è il più giovane della storia” titolano con toni entusiastici i giornali di tutta Italia.

E di rimando un lettore commenta: “potremmo scegliere i ministri tra i liceali e batteremmo questo “record”! Ma che ci importa dell’età, l’essenziale è che sappiano fare il loro lavoro”.

Oggigiorno, l’idea che la giovinezza sia un valore aggiunto in ogni campo è diventato un assioma indiscusso.

In passato, la giovinezza era considerata l’età dell’audacia, della “ferocia” (Livio e Cicerone), e dell’impulsività senza prudenza. Queste erano considerate doti essenziali per un guerriero, dove violenza e forza fisica potevano rivelarsi requisiti indispensabili, ma per la leadership erano richiesti anni di esperienza e di maturità al fine di temperare l’irresponsabilità della gioventù e condurla verso una maggiore prudenza, autocontrollo e saggezza.

Leon Battista Alberti, asseriva che era necessario moderare e frenare l’irruenza dei giovani perché solo chi ha conosciuto e sperimentato le traversie della vita sarà in grado di districarsi tra i meandri della burocrazia e della politica. Per lui solo pochi “saggi e sperimentati” potevano reggere uno Stato e salvaguardarlo dalle tempeste politiche e dalla follia dei potenti. “I giovani non sono adeguati a quest’arte difficile e paziente e vanno a lungo educati per possederla; proprio la loro audacia feroce è il loro nemico principale e va raffrenata.”. Il vitalismo dei giovani era quasi uno stadio primitivo dell’uomo da condurre progressivamente verso l’assennatezza, humanitas versus ferinitas, condizione essenziale per tutti e, in particolare, per chi vuole candidarsi alla guida di regni e repubbliche.

Anche Machiavelli, che nel Principe sembra esaltare il mito della giovinezza, nella Mandragola  introduce la prospettiva di un “patto generazionale” vincente in cui l’impulsività passionale dei giovani si coniuga con l’avvedutezza e la scaltrezza degli anziani. La forza di Callimaco (garzonaccio), infatti, è proprio nell’aver saputo allearsi con i seniores, più astuti e spregiudicati.

Nel Novecento, il mito della gioventù fu utilizzato come strumento per l’indottrinamento delle nuove generazioni da parte dei regimi totalitari, sia fascisti sia staliniani, ma le redini del comando rimanevano solidamente nelle mani dei gerarchi più anziani.

E’ solo negli anni ’80 che si diffonde in Italia e in Europa, mutuato dagli Stati Uniti, il mito dello yuppie, giovane rampante e spregiudicato che scala rapidamente i gradini della carriera, scalzando i colleghi più anziani senza farsi alcun scrupolo di ordine etico o morale.

Da quel momento è iniziata l’esaltazione incondizionata della gioventù, sia a livello estetico sia a livello cognitivo e lavorativo, «Avanti i giovani, via i vecchi!», e nella cultura di massa ha fatto presto a solidificarsi. Essere giovani è diventato un valore assoluto e, se non si può contare sulla complicità  anagrafica, il diktat è apparire comunque giovani a qualunque costo. Il culto del fisico, la chirurgia plastica, la moda non sono altro che manifestazioni del trionfo dell’immaturità sulla  saggezza, dell’apparenza sulla sostanza.

Eppure, il desiderio tipico di chi ha superato gli anta è “vorrei tornare indietro nel tempo, a quando avevo 20 anni, con la consapevolezza, le conoscenze e l’esperienza che ho oggi.”

Chi è giunto all’età della ragione, infatti, non rinuncerebbe mai alla maturità cognitiva, affettiva e sociale, conquistata anche a costo di sconfitte, delusioni e vicissitudini varie.

Io stessa posso affermare, in tutta sincerità, che non baratterei quella che sono oggi, con i miei 50 anni e passa, con quella che ero 20 o 30 anni fa; con il tempo ho acquisito una tranquillità, una padronanza e una sicurezza di me che non possedevo prima, ora so ciò che voglio e come ottenerlo, non mi faccio più condizionare dal giudizio delle persone, pur apprezzando i consigli di chi reputo saggio e avveduto, so aspettare pur mantenendo inalterato l’entusiasmo per affrontare nuove sfide.

Ora ho capito che la perspicacia di mia madre, che attribuivo a doti particolari di avvedutezza e di preveggenza, non erano altro che esperienza.

Ciò che tuttavia dovrebbe indurre a riflettere è che i giovani rampanti, i quali sgomitano per arrivare ai vertici in politica, sono quasi sempre controllati e guidati da eminenze grigie ottuagenarie o ultra-ottuagenarie, come nel caso di Renzi e Napolitano.

D’altronde, l’elite che detiene il vero potere economico, politico e mediatico è costituito da decani come David Rockefeller, Rothchild e Henry Kissinger.

In pratica si è creato quel “patto generazionale” vincente, illustrato dal Machiavelli nella Mandrangola,  tra giovani e anziani  che permette ad entrambi di ottenere ciò che vogliono.

Ma, come nella celebre commedia, il fine di questo sodalizio è quello di raggirare vittime ignare che non riescono a discernere l’intramontabile gattopardo che si nasconde dietro l’aspetto giovane, energico e dinamico del “nuovo che avanza”.

3 commenti

  1. Sono coetanea di 3 ministri, 33 anni, e mi chiedo se davvero una persona di 33 può avere l’esperienza e la competenza per svolgere questo ruolo. E la mia risposta è no. Il che non significa che voglia al governo solo gente dell’età di Napoletano, ma un minimo dai! E non mi fa particolarmente piacere nemmeno vedere una donna all’ottavo mese di gravidanza che viene nominata ministro, penso che trasmetta un messaggio sbagliato, che la donna in men che non si dica debba risolvere l’incombenza della maternità per tornare al lavoro. Invece per il bene di mamme e bambini la maternità dovrebbe essere un periodo vissuto con tutta la calma e la serenità possibili. Vogliamo metterci in testa che donne e uomini non siamo uguali, dobbiamo avere gli stessi diritti, le stesse possibilità, ma abbiamo esigenze diverse, ruoli diversi, rispettiamoci tutti di più.

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  2. Questo articolo secondo me parte da un giudizio, anzi da un pregiudizio, che si tratti di un “pessimo governo” o di un governo mediocre, come lo hanno definito in molti. Non è che io approvi Renzi ma proviamo a vedere cosa combina prima.

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