Di Patrizia Ciava.
Certo, è difficile convincersi di una simile ipotesi con l’immagine che i media ci prospettano dell’Italia. Chi mai si prenderebbe la briga di ordire un complotto contro un paese da operetta, perennemente sull’orlo della bancarotta?
Ma è proprio così? Siamo davvero un paese mediocre e poco competitivo? Oppure è quello che vogliono farci credere?
A molti potrà apparire sorprendente, eppure l’Italia ha dei settori d’eccellenza insospettabili ed ha ancora oggi un potenziale enorme. I super-poteri egemonici hanno sempre temuto l’Italia e la temono tuttora.
Ripercorrendo episodi della nostra storia recente (e meno recente), ci accorgeremo che ogni volta che l’Italia ha cercato di spiccare il volo qualche evento o movimento, apparentemente spontaneo, ha soffocato il suo slancio sul nascere. Così è stato negli anni ’60, quando si parlava di “miracolo italiano” perché l’economia italiana cresceva più rapidamente di qualsiasi altro paese europeo, mentre nel mondo solo il Giappone faceva meglio.
Subito dopo arrivarono gli anni di piombo, la strategia della tensione, si generò un clima di insicurezza e di pericolo che mise fine al boom, e l’Italia ritornò ad essere “pizza, mafia e mandolino”.
In questi ultimi anni l’ENI ha ritrovato lo smalto che aveva al tempo del suo fondatore, Mattei. Presidente dell’Eni dal 1953, Mattei ne fece l’unica vera multinazionale italiana del petrolio (la sesta o settima nella graduatoria mondiale). Egli si impegnò ad assicurare l’autonomia energetica all’Italia facendo accordi diretti coi paesi produttori e rompendo il monopolio energetico delle “sette sorelle” angloamericane.
Già nel 1949, quando Mattei era Commissario straordinario dell’Agip, rifiutò di venderla agli americani che avevano offerto una cifra enorme per acquistarla, e decise anzi di rilanciare l’azienda, che scoprì i giacimenti di gas e petrolio di Cortemaggiore (da cui la benzina italiana “Supercortemaggiore”). Sul New York Time il 16 luglio 1949 usciva un articolo dove si diceva che la politica energetica italiana, volta a sfruttare monopolisticamente le risorse del sottosuolo italiano, potevano mettere in crisi i rapporti Italia-Usa.
Mattei, nel 1957, fece iniziare la costruzione della centrale nucleare di Latina (nel 1959 in tutto il mondo ve n’erano solo due), che iniziò a funzionare nel 1963, fino al 1986 (anno del referendum); nel frattempo allacciava rapporti a fini energetici coi paesi comunisti e coi paesi arabi, ai quali l’Eni faceva condizioni molto più favorevoli degli americani nello sfruttamento dei pozzi. La sua morte nel 1962 fu fatta passare per disgrazia, ma nel 1994 le indagini furono riaperte, dopo che un pentito di mafia aveva rivelato che “l’eliminazione del presidente dell’Eni derivò da un accordo tra un gruppo di non meglio identificati ‘americani’ e Cosa Nostra. La procura di Pavia, dopo aver accertato che Mattei fu ucciso ha archiviato nel 1995 l’inchiesta per l’impossibilità, dopo tanti anni di raccoglier prove sui mandanti.
Il giornalista Mauro De Mauro che svolgeva indagini sul “caso Mattei”, su incarico del regista Francesco Rosi, fu ucciso (oggetto di lupara bianca il 16 settembre 1970). La stessa morte di Pasolini potrebbe iscriversi in questo contesto, casualmente avvenuta proprio quando stava per scrivere il romanzo Petrolio: “Pasolini aveva capito troppe cose, non solo del delitto Mattei, ma anche delle stragi”. Il romanzo incompiuto conteneva un capitolo intitolato Lampi sull’Eni, per la cui stesura lo scrittore si era servito di documenti riservati dell’Eni in cui venivano avanzati sospetti sulla morte di Mattei.
In ogni caso, la coraggiosa politica di Mattei permise il cosiddetto “miracolo economico italiano”, facendo del nostro paese la sesta potenza industriale del mondo, e consentendo alle famiglie di vivere con una bolletta energetica modesta. Mattei diceva:”Ho lottato contro l’idea fissa che esisteva nel mio Paese: che l’Italia fosse condannata ad essere povera per mancanza di materie prime e di fonti energetiche….Io lotto contro il cartello petrolifero anglo-americano non solo perché è oligopolistico, ma perché è maltusiano (concezione che vede un limite della crescita economica mondiale nell’esaurimento di risorse non riproducibili (p. e. prodotti minerari); ) e maltusiano ai danni dei paesi produttori, come ai danni dei paesi consumatori”
Moro fu eliminato per lo stesso motivo per cui si doveva eliminare Mattei allora: con l’entrata al governo dei comunisti l’Italia si sarebbe inevitabilmente avvicinata all’URSS e quindi alla Russia, e l’unione di paesi europei e Russia è pericolosa per l’Impero a guida Usa-Inghilterra-Israele, o per essere più precisi ai potentati economici e finanziari che manovrano le politiche di queste nazioni.
Per capire perché si vuole vietare alla Russia di avvicinarsi a paesi occidentali ricchi di tecnologia, riporto alcuni dati: la Russia, che dai media USA e da quelli europei è falsamente etichettata come un “paese in rovina e tecnicamente arretrato”, possiede la più grande concentrazione di ricchezze e risorse naturali sul pianeta: il 13% delle riserve di petrolio del mondo, il 32% del gas naturale del mondo, le più grandi riserve di carbone pari al 30% e la più grossa produzione mineraria di ferro del mondo equivalente a 101.400 Mt all’anno. Questo paese è il leader mondiale nella produzione di alluminio e di stagno, titanio, tantalio, niobio, e nelle attività minerarie di terre rare. La Russia possiede un terzo dei giacimenti d’oro del mondo, il 10,2% del platino e il 50% delle riserve di diamanti del mondo.
Il primo colpo storico contro l’Italia lo mise a segno Carlo Azeglio Ciampi, futuro presidente della Repubblica, incalzato dall’allora ministro Beniamino Andreatta, “nonno” della Grande Privatizzazione che ha smantellato l’industria statale italiana, temutissima da Germania e Francia. E’ il 1981: Andreatta propone di sganciare la Banca d’Italia dal Tesoro, e Ciampi esegue. Obiettivo: impedire alla banca centrale di continuare a finanziare lo Stato, come fanno le altre banche centrali sovrane del mondo, a cominciare da quella inglese.
Il secondo colpo, quello del ko, arriva otto anni dopo, quando crolla il Muro di Berlino. La Germania si gioca la riunificazione, a spese della sopravvivenza dell’Italia come potenza industriale: ricattati dai francesi, per riconquistare l’Est i tedeschi accettano di rinunciare al marco e aderire all’euro, a patto che il nuovo assetto europeo elimini dalla scena il loro concorrente più pericoloso: noi. A Roma non mancano complici: pur di togliere il potere sovrano dalle mani della “casta” corrotta della Prima Repubblica, c’è chi è pronto a sacrificare l’Italia all’Europa “tedesca”, naturalmente all’insaputa degli italiani.
Ma la data più importante per il siluramento definitivo dell’Italia è il 2 giugno 1992. Al largo di Civitavecchia, a bordo del panfilo Britannia, di sua maestà la regina Elisabetta, si incontrano i rappresentanti delle maggiori banche d’affari della City di Londra e di Wall Street: Barings, Barclay’s, Warburg, che di fronte hanno i nostri (si fa per dire) Romano Prodi (presidente Iri), Beniamino Andreatta, Mario Draghi (direttore generale del Ministero del Tesoro) che dalle medesime banche si fanno dettare modi e tempi delle privatizzazioni dei più importanti settori dell’industria pubblica italiana.
Con delicato eufemismo questo processo viene chiamato “modernizzare l’economia”, “necessità di privatizzare e di aprirsi agli investitori esteri”, in pratica si tratta di mettere nelle mani di grandi banche d’affari (Goldman Sachs, Merril Lynch, Morgan Stanley, che si sono prese 3.000 miliardi di lire solo in commissioni) pezzi importanti della nostra storia e dei sacrifici degli italiani, un patrimonio di 100.000 miliardi di vecchie lire: IMI, Telecom (detta da Prodi “la madre di tutte le privatizzazioni”), Eni, Enel, Comit (la cui privatizzazione fu presieduta dalla banca americana Lehman Brothers), BNL, e quindi quasi tutto il sistema bancario italiano. A fare da catalizzatore a questa operazione c’è un certo George Soros, l’ebreo ungherese che è divenuto uomo di punta della più potente dinastia bancaria del mondo, quella dei Rothschild.
L’incontro del Britannia è rimasto rigorosamente invisibile, tanto alla cronaca dei giornali che ai libri di storia. Preliminarmente a questa azione di (s)vendita delle partecipazioni di stato, si decise sul Britannia, dandone l’incarico a Soros, un assalto speculativo alla lira, determinandone una svalutazione sui mercati internazionali del 30%. In questo modo, Soros preparava il terreno alle banche, che abbiamo sopra citato, per acquistare quei grandi istituti italiani al 30% in meno del prezzo iniziale, facendo loro risparmiare 15.000 miliardi di lire.
Draghi dal 1993 fu Presidente del comitato per le privatizzazioni e fu così che i grandi settori energetici, delle comunicazioni e bancari del nostro paese, passarono in mano private ed estere, ma anche industrie come la Motta-Alemagna Buitoni, l’Invernizzi, Locatelli, Galbani, Negroni, Ferrarelle, Perugina, Peroni, Moretti, Mira Lanza. Gli speculatori riuscirono con la compiacenza dei politici nostrani ad acquistare mediamente ad un terzo del loro valore importanti aziende pubbliche, che poi rivendettero a pezzi, a costi molto più alti.
Per non parlare delle banche che appartenevano all’Iri.
Mario Monti, Mario Draghi, Romano Prodi: sono questi gli uomini di punta di Goldman Sachs in Italia, per la quale essi hanno più volte lavorato. Prodi ha consentito a questa banca di acquisire il Credito Italiano, il cui valore era stimato intorno agli 8.000 miliardi di lire, per soli 2.700 miliardi. La Cirio-Bertolli-De Rica, coi suoi 110 miliardi di fatturato, valutata intorno ai 1.350 miliardi, fu venduta da Prodi ad una ignota finanziaria lucana di un tal Francesco Lamiranda, per soli 310 miliardi; poi si scoprì che dietro il Lamiranda c’era la multinazionale olandese Unilever, di cui Prodi era stato consulente dal ‘90 al ‘93.
Tra le altre cose Prodi mise in vendita la Sme (Società Meridionale di Elettricità), ma non con asta pubblica, bensì con accordo privato decise di cederla a De Benedetti, al prezzo di 497 miliardi di lire. A molti parve una vera svendita e Craxi si mise di mezzo bloccando tutto (pagherà con la caduta del governo, tangentopoli, esilio in Tunisia, ecc).
Si fece l’asta pubblica e per la Sme si arrivò a offrire 620 miliardi di lire. L’ex ministro della sanità e poi dell’industria Altissimo disse:”La sinistra, mandata al governo da tangentopoli, col sostegno palese, mai smentito di De Benedetti, ricambiò la cortesia consentendo la svendita di beni dello Stato –cioè di noi tutti- proprio al gruppo di Ivrea”. La vicenda più incredibile fu quella di Omnitel e Infostrada. La prima ottenne la concessione per diventare il secondo gestore della telefonia mobile a urne aperte, era il 1994, appena in tempo per pagare il debito di riconoscenza”
Fu operata una vera deindustrializzazione del paese, secondo la migliore logica della globalizzazione voluta dal Bilderberg.
Quei settori della Democrazia Cristiana e del Psi di Craxi che cercarono di opporsi alla Grande Rapina si videro scatenare contro l’inchiesta Mani Pulite.
In realtà la fine di Craxi fu decretata dal caso Sigonella nel 1985, quando rifiutando di consegnare i palestinesi ai marine americani, osò affermare il rispetto della sovranità della nazione italiana L’allora Presidente del Consiglio venne meno a una regola imposta dall’Impero Usa: l’ossequio del prevalere degli interessi statunitensi, al di là di qualsiasi principio d’indipendenza, su quello degli stati vassalli.
Ci vollero anni per comprendere che la vicenda umana e politica di quell’uomo era assai più complessa di quanto aveva voluto farci credere la stampa ufficiale. Nel 1997, ormai da latitante dichiarava: “Si presenta l’Europa come una sorta di paradiso terrestre, ma per noi l’Europa nella migliore delle ipotesi sarà un limbo e nella peggiore ipotesi sarà un inferno. Quindi bisogna riflettere su ciò che si sta facendo. Perché la cosa più ragionevole di tutte è quella di richiedere e di pretendere, essendo noi un grande paese, la rinegoziazione dei parametri di Maastricht. Perché se l’Italia ha bisogno dell’Europa, l’Europa ha bisogno dell’Italia, non dimentichiamolo”. Craxi non era contrario ad una Europa unita, ma l’ipotizzava con un ampio respiro mediterraneo e, proprio per questo, con un occhio attento ai paesi arabi. Un uomo forte che dettava legge in Europa, evidentemente, dava fastidio a molti, soprattutto a Londra. Se Craxi fosse stato “comprabile” non sarebbe stato rovesciato. La sua caduta era voluta da chi intendeva mettere le mani sul patrimonio pubblico italiano e vedeva in Craxi un ostacolo che non poteva essere rimosso con le tangenti. Craxi non era contrario alle privatizzazioni, ma certamente avrebbe preteso che venissero fatte in un quadro di salvaguardia di posizioni strategiche per l’economia italiana. Le privatizzazioni furono al centro della caduta di Craxi.
Avendo azzerato il potere politico per via giudiziaria si sono così potute fare privatizzazioni puramente speculative che hanno ridimensionato ricerca, sviluppo e competitività ed hanno consentito uno smantellamento della presenza italiana in settori strategici. Divenimmo il primo paese europeo maggiormente privatizzato, il secondo al mondo nella classifica mondiale delle privatizzazioni.
Poi, nel 1994 l’Italia votò un candidato che era stato politicamente vicino a Craxi, “sceso in campo” inaspettatamente, e da quel momento fu sottoposta ad una sistematica stroncatura da parte dei media sia italiani sia stranieri.
Questo accanimento mediatico raggiunse livelli esasperati e si capiva che il nostro premier era nel mirino degli Usa per le sinergie petrolifere con Russia e Libia. Gli Usa hanno sempre preso di mira l’Eni e le sue politiche energetiche italiane troppo “indipendenti” dai loro interessi. Una lunga storia che, come abbiamo visto, risale a Mattei. Leggendo i messaggi degli ambasciatori US a Roma, divulgati da wikileaks, il tema ricorrente infatti, ciò che preoccupava di più gli ambasciatori americani, era proprio l’asse Berlusconi-Putin- Gheddafi e la costruzione del nuovo gigantesco gasdotto Southern Stream, frutto della collaborazione tra ENI e la Russa Gazprom.
Il 23 giugno 2007, Eni e Gazprom firmarono un memorandum d’intesa per la realizzazione del gasdotto South Stream. L’accordo si inseriva in una più ampia intesa strategica che le due compagnie avevano siglato nel novembre del 2006 (con Prodi al Governo) e che avrebbe permesso a Gazprom di entrare nel mercato della distribuzione e vendita del gas naturale in Italia e a Eni di sviluppare progetti di ricerca ed estrazione di idrocarburi in Siberia. Nel novembre del 2007, poi, venne firmato un accordo per la costituzione della società South Stream AG, controllata pariteticamente dai due soci, con lo scopo di commissionare lo studio di fattibilità e commerciabilità del progetto. La società venne effettivamente costituita a gennaio dell’anno seguente. Il 15 maggio del 2009, alla presenza dei premier Silvio Berlusconi e Vladimir Putin, gli amministratori delegati delle due società, Paolo Scaroni e Alexei Miller firmarono un secondo documento integrativo del memorandum d’intesa esistente, ribadendo l’importanza del progetto e stabilendone la sua espansione in termini di capacità. Il 6 agosto 2009, il premier turco, Erdoğan, e il russo, Putin, firmarono, alla presenza di Berlusconi e Scaroni, un accordo intergovernativo che permetterà al gasdotto South Stream di attraversare le acque territoriali turche del mar Nero.
Il gasdotto South Stream dovrebbe surclassare il Nabucco, controllato dagli americani.
E qui vorrei fare una breve parentesi per riportare una notiziola interessante:
“Il presidente del Nabucco è Joschka Fischer, nel sessantotto attivissimo esponente “rivoluzionario”, poi verde-ambientalista, oggi è a capo del progetto Nabucco; esso è membro del Council on Foreign Relations, la fondazione privata dei Rockefeller, che è praticamente il centro dove si teorizza la politica estera statunitense e da dove nascono sia il gruppo Bilderberg che la Trilateral.”
In pratica, gli US temono che l’intera Europa potrebbe diventare dipendente energeticamente dalla Russia e la dipendenza energetica implica la dipendenza politica, culturale e militare.
Non solo, l’Eni si sta mostrando troppo attiva: firma importanti accordi con la russa Gazprom, estrae petrolio e gas dall’Egitto al Messico, dall’Iran al Venezuela,dall’Iraq all’Algeria alla Libia, ritrovando lo smalto che aveva ai tempi del suo fondatore Enrico Mattei (all’Eni tocca costruire il 50% del Southern Stream).
Se l’Italia dovesse associare la sua tecnologia (molto più avanzata di quanto ci vorrebbero far credere) alle quasi inesauribili riserve energetiche a basso costo che ci sono a disposizione nei paesi del mediterraneo diventerebbe un gigante molto temibile. Se, infatti, si legasse energeticamente ai paesi arabi, essa diverrebbe, col suo sviluppo tecnologico la prima potenza industriale del mediterraneo e dell’Europa, visto che data la vicinanza, potrebbe avere accesso privilegiato alle risorse energetiche del nord Africa e del medio oriente.
Si riproporrebbe quel potente stato al centro del mediterraneo, come lo era il Regno delle due Sicilie borbonico, che la Gran Bretagna si impegnò ad eliminare utilizzando le ambizioni territoriali del Piemonte sabaudo, per avere lei il controllo di questo mare.
Se guardate una cartina, vedrete che non v’è nulla di più ovvio per l’Italia che sviluppare politiche energetiche ed economiche sul Mediterraneo, al centro del quale essa sta al centro come penisola, e al centro del quale essa starebbe come potenza economica e politica. Tutti quei politici e manager che hanno tentato di fare questo, anche solo con una blanda politica mediterranea, si sono rovinati: Mattei, Moro, Andreotti, Craxi…
Potrebbe essere anche questo il vero motivo per cui non si è ancora restaurata o raddoppiata la Salerno-Reggio Calabria, cioè il divieto angloamericano di guardare a sud e al Mediterraneo. Il potere della mafia (quella col cui appoggio gli alleati sbarcarono in Sicilia nel ’43 e alla quale fu dato potere permanente sull’isola imponendo che essa avesse statuto autonomo, dopo avervi sbarcato 2000 membri di Cosa Nostra, tra cui Luky Luciano) è stato utilizzato a questo scopo, boicottando qualsiasi tentativo di sviluppo delle infrastrutture, affinché lo sviluppo industriale restasse a nord e guardasse all’Europa continentale e atlantica. Notate come la Commissione Europea (espressione degli interessi anglo-americani) prema per fare i trafori delle alte velocità al Nord e veda di cattivo occhio il ponte sullo stretto di Messina o una Salerno Reggio Calabria.
Se si è ben compresa questa premessa geopolitica che fa da filo conduttore tanto alla storia d’Italia, quanto a quella europea, allora ben si capisce che la cosiddetta “Europa unita” va in realtà intesa come “divisione dell’Eurasia” oppure come “Europa separata dall’Asia”. Sono gli Stati Uniti e l’Inghilterra ad aver promosso questa divisione sin dal dopoguerra proprio per impedire la formazione del blocco eurasiatico e per tenere lontano la Russia dai paesi europei.
La Russia, come altri paesi da “democratizzare”, è assediata dalle cosiddette ONG (organizzazioni non governative, che ufficialmente si occupano dei bambini poveri, degli alcolisti abbandonati, oppure dei cani randagi ecc). Nelle finalità esteriori e ufficiali solo cose buone alle quali nessuno avrebbe il coraggio di opporsi. Se poi si va a vedere che c’è dentro queste organizzazioni e chi le finanzia le cose appaiono diverse.
Siccome i russi si sono accorti che erano soprattutto le banche di Wall Street e della City di Londra a finanziare le ONG e che sono state quest’ultime a promuovere e sostenere le cosiddette “rivoluzioni arancioni” che hanno portato molti paesi confinanti con la Russia sotto influenza Nato, accerchiandola, ecco che il Cremlino ha fatto una legge che impone alle Ong di dichiarare esplicitamente chi le finanzia.
Sui maggiori giornali francesi non passa giorno che non strillino contro Putin, che non esaltino il Nabucco e i rigassificatori (importare gas con le navi). Così come il Corriere della sera, Glucksmann, Economist, Financial Times, Espresso, e Repubblica raccomandano fortemente per l’Italia i rigassificatori, anche se deturpano un pochino l’ambiente e sono costosi.
In definitiva, un cittadino dotato di un minimo senso critico dovrebbe chiedersi il perché dell’accanimento mediatico contro la Russia e l’Italia.
Alla stroncatura di Berlusconi hanno partecipato troppi media internazionali. Da Repubblica, a El Pais, alla Bbc, alla Cnn, si tratta di una rete mediatica legata ai circoli bancari londinesi, ed a personaggi a questi legatissimi come Carlo De Benedetti, George Soros, Ted Turner. Anche i “moralizzatori”, quelli che ce l’hanno con la politica, come Di Pietro e Grillo per esempio, sono complici di questi circoli. Non è un caso per esempio che Grillo durante uno spettacolo dell’inverno del 2003, definì il megaspeculatore George Soros ed il magnate dei media Ted Turner, come modelli di capitalismo etico.
La cittadinanza dovrebbe quanto meno prendere le distanze da una operazione che è un palese tentativo di condizionare la sovranità politica italiana da parte di forze private nazionali ed estere.
Inoltre, per l’oligarchia finanziaria la pericolosità del Governo Berlusconi risiedeva in particolare nel Giulio Tremonti che partecipava ad incontri pubblici con Lyndon LaRouche. Secondo Tremonti la “stabilizzazione” del sistema finanziario decantata dai cosiddetti esperti in realtà significava soltanto porre le basi per una nuova crisi. “Se non si neutralizza il meccanismo dei derivati e altri titoli altamente speculativi non si potrà effettuare un cambiamento vero” dichiarò.
Le cose che LaRouche sostiene, con la crisi finanziaria ed economica in corso, fanno sempre più breccia anche tra chi finora credeva di poter fare politica accettando che la questione della sovranità creditizia e monetaria potesse essere lasciata alle autorità finanziarie ed ai banchieri. Se queste divengono oggetto di discussione tra più leader nazionali, l’oligarchia finanziaria rischia di ritrovarsi in serie difficoltà.
Il dato comune dell’attacco scandalistico contro Berlusconi, come quello che riguardò Bill Clinton nel 1998, è che oggi come allora sul tavolo di discussione vi era la proposta di una Nuova Bretton Woods. Di fatto i sexygate hanno la capacità di delegittimare agli occhi altrui, e di inibire la capacità propositiva di chi è fautore di proposte concettualmente complesse, che rompono con gli schemi a cui si è abituati.
Recenti rivelazioni confermano che Berlusconi ventilò in seno ai vertici dell’Unione Europea la possibilità che l’Italia uscisse dall’euro. “Silvio Berlusconi aveva avviato le trattative in sede europea per uscire dalla moneta unica.” A rivelarlo è Hans-Werner Sinn, presidente dell’istituto di ricerca congiunturale tedesco, Ifo-Institut, durante il convegno economico “Fuehrungstreffen Wirtschaft 2013” organizzato a Berlino. “Sappiamo – ha detto Sinn – che, nell’autunno 2011, l’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha avviato trattative per far uscire l’Italia dall’Euro”.
Per questo fu costretto a dimettersi da presidente del Consiglio, pur in assenza di un voto di sfiducia del Parlamento. Oggi molti sostengono che si trattò di un colpo di stato ordinato dai poteri forti in seno all’Unione Europea. La Banca Centrale Europea, manovrando l’impennata dello spread (il differenziale tra Btp-Bund) che sfiorò i 600 punti, alimentò un clima di terrorismo finanziario, politico e mediatico. Con la connivenza dei poteri finanziari speculativi – Milano Finanza fu l’unico organo di stampa a rivelare il ruolo della Goldman Sachs nel rialzo dello spread dei titoli italiani – fu determinato il crollo delle azioni Mediaset in borsa, sotto il ricatto di una ulteriore azione speculativa che avrebbe potuto gettare sul lastrico le sue imprese, Berlusconi accettò di dimettersi, Napolitano nominò Mario Monti e lo impose a capo di un governo tecnocratico a cui lo stesso Berlusconi fu costretto a dare fiducia.
Contemporaneamente fu costretto a dimettersi il primo ministro greco Papandreu, pochi giorni dopo il suo annuncio di tenere un referendum sulla volontà o meno di rimanere nell’euro, e fu sostituito da Papadimos.
Che cosa hanno in comune Draghi, Monti e Papadimos, oltre alla sviscerata fiducia nella moneta unica?
Mario Draghi, è stato vicepresidente di Goldman Sachs per l’Europa tra il 2002 e il 2005. Ricordiamo che la potente banca d’affari americana, che condiziona mercati e governi, fu coinvolta in modo diretto nella politica delle privatizzazioni in Italia e acquisì l’intero patrimonio immobiliare ENI.Mario Monti, dal 2005 è International Advisor per Goldman Sachs e precisamente membro del Research Advisory Council del “Goldman Sachs Global Market Institute”. Lucas Papademos, fu governatore della Banca Centrale ellenica tra il 1994 e il 2002, e partecipò all’operazione di falsificazione dei conti perpetrata dalla Goldman Sachs.
Lo stesso Berlusconi, nel novembre 2013, ha fatto le seguenti rivelazioni: “Oggi operiamo con una moneta straniera, che è l’euro”; “Siamo nelle stesse condizioni dell’Argentina che emetteva titoli in dollari”; “Il Giappone ha un debito pubblico del 243% rispetto al Pil ma ha sovranità monetaria”; “Le mie posizioni nell’Unione Europea hanno infastidito la Germania”; “La Germania ordinò alle sue banche di vendere i titoli italiani per far salire lo spread, provocando l’effetto gregge”; “Nel giugno 2011 Monti e Passera preparavano già il programma del governo tecnico”; “Nel 2011 ci fu una volontà precisa di far fuori il nostro governo”; “Al Quirinale mi dissero che per il bene del Paese avrei dovuto cedere la guida del governo ai tecnici. Per responsabilità cedemmo la guida del Paese ad un governo tecnico”.
Se fosse vero, questo complotto contro il governo legittimo di uno Stato sovrano va ben oltre l’ambito personale o le preferenze politiche, poiché si tratterebbe di una violazione della Costituzione e di un attentato alla sovranità nazionale. Tutti i cittadini dovrebbero interrogarsi sulle implicazioni di una tale operazione sovversiva che equivale ad una vera e propria occupazione da parte di una potenza straniera. Significherebbe che i nostri politici formano un governo fantoccio che appartiene solo formalmente al nostro popolo ma che in realtà è controllato e pilotato da una entità sconosciuta che lo domina. E ricordiamo che tutti gli Stati fantoccio implicano il collaborazionismo, ovvero la collaborazione dei membri del Governo con lo Stato dominante.
I panni sporchi si lavano in casa! … e si stendono fuori in pubblico solo come biancheria pulita e profumata. In Italia purtroppo finora si è fatto il contrario!. La stampa e i talk-show hanno insegnato agli italiani solamente ad accusare, ad offendere, a urlarsi addosso, a mancare di rispetto a tutti e su tutti i fronti, a far vedere in TV solo negatività vere o presunte, a parlare solo di disgrazie, di malcostume e di crisi (… e a quale fine pratico??, solo per fare audience??? … per vendre la pubblicità e pagare milioni a politici, a giornalisti e a presentatori dello spettacolo? … Il fatto è che tutto questo ha ineducato -se non inebitito!- la gente, ha cambiato in peggio i costumi e i valori di un popolo civile quale il nostro, ha inaridito gli animi, e ha reso le masse dei poveri storditi, avviliti, insicuri, inermi e privi di coraggio e iniziativa, se non quella del lamento e della rassegnazione.
Dopo la guerra, negli anni 50, quando i nostri padri erano giovani e noi stavamo per nascere, l’Italia era molto piu’ a terra di adesso, era piu’ in crisi, era nella miseria, era reduce da vere disgrazie, da soprusi, malcostume e corruzione piu’ di quanto lo è oggi. Eppure … allora prevalse la voglia di fare, di costruire, di riscattarsi moralmente ed economicamente … e solocosi nacque “il miracolo italiano” -l’esempio di un sistema economico-industriale! .. OGGI INVECE CHE COSA è RIMASTO del miracolo italiano? … il “made in Italy venduto ad altri?, gossip?, la capacità di saper insultare meglio? la voglia di scappare altrove? … la codardia??? Begli italiani! su! forza! … tirate fuori i coglioni … e al lavoro per rifare l’Italia e dare un avvenire a voi stessi e ai vostri figli, come a suo tempo hanno fatto i vostri nonni e i vostri padri! Tirate fuori la grinta, l’adrenalina, l’orgoglio, l’ambizione … e il coraggio di creare “la forza di una nuova realtà” … E CHE SIA VINCENTE!
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