“…l’Italia è uno dei soli 5 Paesi del G-20 (insieme a Cina, Germania, Giappone e Sud Corea) ad avere un surplus strutturale con l’estero nei prodotti manufatti non alimentari. Ciò vuol dire che, escludendo l’energia e le materie prime agricole e minerarie, l’Italia è uno dei Paesi più competitivi a livello mondiale. Stupiti? Eppure, lo dicono i numeri, vantiamo quasi 1000 prodotti in cui siamo nei primi tre posti al mondo per saldo commerciale attivo con l’estero. Nel rapporto si usa un’efficace metafora: quella dell’Olimpiade. Se pensiamo al mercato globale come a un’Olimpiade e ai prodotti come altrettante discipline sportive in cui primeggia chi ha un export decisamente migliore dell’import, l’Italia sale sul podio ben 1000 volte! Meglio di noi si comportano solo, e sottolineo solo, Cina, Germania e USA. Ed è ovvio che, se poi guardiamo esclusivamente all’Europa, il campionato europeo lo perdiamo solo nei confronti della Germania, noi ben davanti alla Francia, per esempio, le cui finanziarie stanno facendo shopping dalle nostre parti.
I.T.A.L.I.A., è un acronimo che sta per “Industria, Turismo, Agroalimentare, Localismo e Sussidiarietà, Innovazione, Arte e Cultura”, in poche parole i pilastri del Made in Italy, le frecce all’arco del nostro Paese nei confronti del mondo. Lo studio è corposo e ne consiglio un’approfondita lettura perché, statene certi, non troverete niente di scontato.
“Il nostro sistema economico viene descritto nelle tabelle internazionali come scarsamente propenso a innovare. Ma se osserviamo da vicino queste classificazioni, vedremo che una macchina per imballaggio realizzata su misura o una grande nave da crociera progettata à la carte sono considerate prodotti meno innovativi e complessi di un banale telefono cellulare o di uno dei tanti computer entry level fatti in serie. Per questo – e anche per il fatto che le migliaia di piccole e medie imprese del quarto capitalismo spesso non catalogano come tali tutti gli investimenti in ricerca e sviluppo – l’innovazione italiana è largamente sottovalutata. Ma allora come spiegare i nostri primati mondiali in singoli settori caratterizzati proprio da un alto tasso di innovazione, come (solo per citarne alcuni) la robotica di servizio, le biotecnologie, i nuovi materiali, le neuroscienze, la fisica delle particelle? Non è un caso che il nostro Paese sia in prima linea, con Cnr, in due importantissimi progetti su cui la Commissione Europea ha deciso di puntare per il futuro, con un finanziamento di 2 miliardi di euro: il grafene e il cervello artificiale.
Siamo stati, nel 2012, i secondi in Europa, dopo la Germania, per attivo manifatturiero con i Paesi extra-UE (proprio quei mercati emergenti che secondo la Commissione ci avrebbero mandato a picco). La maggior parte di questo surplus, poi, non proviene dai settori tradizionali (il tessile, le calzature, il mobile), ma dalla meccanica e dai mezzi di trasporto. Tra i prodotti per i quali guadagniamo una medaglia per il saldo commerciale troviamo le tecnologie del caldo e del freddo, le macchine per lavorare il legno e le pietre ornamentali, oppure i fili isolati di rame e gli strumenti per la navigazione aerea e spaziale. Tutti oggetti così poco italiani, se continuiamo ad avere in testa l’Italia di 15-20 anni fa, che in realtà identificano la geografia di un nuovo made in Italy. E dimostrano che siamo stati in grado di risintonizzarci, con successo, sulle nuove frequenze del mercato globale.
Senza, peraltro, perdere il presidio di quei settori per noi più abituali, per i
quali manteniamo il più alto surplus in Europa con i Paesi extra-UE: ‘semplicemente’ occupando le fasce di più alto valore aggiunto, quelle del lusso e del design.
[…] L’Italia paese più competitivo del mondo; stupiti?. […]
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