Me lo sono chiesta, prendendo spunto da una notizia di qualche tempo fa il cui titolo recitava: “La storia di Sabina Berretta: “A Catania non ho ottenuto neppure il posto da bidella, oggi dirigo un centro di ricerca ad Harvard”
Ma bastava leggere l’articolo per rendersi conto che la Berretta da diplomata non aveva superato il concorso da bidella ma, dopo la laurea, aveva vinto quello decisamente più ambito per ottenere una borsa di studio dell’italianissimo CNR (Centro nazionale di ricerche), grazie alla quale aveva potuto studiare negli USA, dove poi era rimasta.
“Sabina è riuscita a vincere una borsa di ricerca per studiare un anno all’estero e scelse gli Stati Uniti. Vinsi una borsa del Cnr. Scelsi il Mit di Boston. Andò bene: scaduta la borsa, ero stimata e mi tennero.”
Un titolo quindi fuorviante.
Tuttavia, il giornale non può essere accusato di aver pubblicato una bufala poiché l’articolo chiarisce tutto. Ma quanti si fermano al titolo e non leggono oltre? Direi la maggior parte.
Già da qualche tempo ho notato una certa tendenza ad incoraggiare i nostri “cervelli” a fuggire all’estero da parte di testate giornalistiche che fanno capo e sostengono gli interessi di grandi gruppi industriali.
Spesso arrivano persino a raccontare vere e proprie bufale. Come la notizia di un medico che non aveva trovato lavoro in Italia e in Inghilterra era diventato primario di un ospedale, oppure quella di un giovane laureato in lettere che non aveva superato il concorso per diventare insegnante ed aveva poi ottenuto una cattedra di italiano in una prestigiosa università di Cambridge.
Ora, chi conosce un po’ il sistema universitario britannico sa bene quanto sia difficile per i docenti ottenere una “tenure”, ci vogliono anni e anni di insegnamento e di valutazioni positive. Quindi, insospettita, ho fatto una ricerca sul sito dell’università e dell’ospedale ed ho scoperto che il sedicente professore universitario di Cambridge era un “language instructor” con contratto a tempo determinato, e che il “primario” nella lista degli impiegati dell’ospedale non era nemmeno indicato come M.D. (medical doctor) ed era assunto anche lui con contratto a tempo determinato.
Giornali e politici citano statistiche in cui la percentuale dei giovani disoccupati in Italia ha raggiunto la spaventosa cifra del 40% ma basta leggere a quale fascia di età questi dati si riferiscono per porsi qualche domanda: infatti indicano i giovani di età compresa tra 15 e 24 anni, quando la maggior parte di loro studia ancora visto che l’obbligo scolastico arriva fino a 16 anni.
Non è difficile capire il vantaggio per le aziende di far fuggire i “cervelli” italiani sostituendoli con lavoratori stranieri con minori pretese.
Questa tattica è talmente efficace che molti giovani diplomati e laureati italiani, convinti di non trovare lavoro in Italia nemmeno lo cercano e scappano all’estero finendo per farsi sfruttare come camerieri o lavapiatti in attesa della grande occasione. Un po’ come succede a molti giovani africani convinti di trovare l’Eden in Europa.
Molte ditte cercano invano personale e non si presenta nessuno, ospedali hanno carenza di infermieri e assumono stranieri.
Alcune lauree sono oggigiorno richiestissime; chi si laurea in ingegneria, informatica, matematica o economia & commercio con votazione di 110 e lode viene contattato direttamente dalle ditte tramite Almalaurea o Linkedin. Meno facile trovare un impiego per i laureati con punteggio basso o con lauree umanistiche ovviamente, ma è stato sempre così ed è così in tutti i Paesi del mondo.
Abbiamo, ad esempio, un sistema di ITS (Istituti Tecnici Superiori) che molti paesi ci invidiano e cercano di copiare, in grado di formare professionisti eccellenti con una percentuale di occupazione del 82% eppure quasi nessuno li conosce in Italia e sono frequentati da appena il 2% degli studenti di livello terziario.
Ben venga un periodo di formazione o di lavoro all’estero, che apre la mente e offre nuove prospettive, ma non deve costituire una fuga. I nostri giovani sono apprezzati all’estero perché li formiamo bene. In ogni caso, sarebbe utile dare informazioni ai giovani sugli sbocchi professionali offerti anche nel proprio paese dai percorsi di studi.
In fin dei conti, la mission dei giornali non dovrebbe essere quella di informare in maniera corretta e obbiettiva?