Filippo Pappalardi è il padre di Salvatore e Francesco Pappalardi, deceduti nel giugno 2006. I due bambini furono ritrovati 20 mesi dopo il loro decesso; solo allora si poté appurare che la loro morte fu accidentale. I due bambini stavano giocando, insieme ad alcuni amici, presso alcune strutture ritenute pericolanti; le strutture furono sprangate dalle autorità preposte solo dopo il ritrovamento dei due piccoli corpi. I funerali furono celebrati nell’aprile del 2008.
Inizialmente i sospetti della loro morte e della loro possibile scomparsa si concentrarono sul padre. Solo in seguito l’uomo venne prosciolto da ogni accusa. Oggi, a distanza di anni, l’uomo riceverà un risarcimento di euro 65 mila, per le ingiuste accuse a lui rivolte.
La richiesta di risarcimento
Secondo la richiesta di risarcimento, avanzata dal legale di Filippo Pappalardi, l’avvocato Angela Aliani, il tribunale ha stabilito che l’uomo ha diritto ad un risarcimento per le accusa che ha dovuto subire e per i giorni di detenzione che ha dovuto scontare ingiustamente. Nel dettaglio all’uomo spetteranno euro 20.500 per i 75 giorni di carcere e per i 25 giorni agli arresti domiciliari, ai quali vanno sommati euro 45 mila per i danni personali che trovano la loro giustifica nel dolore del non potere vedere i suoi figli un’ultima volta, causa detenzione; di uguale gravità i danni economici derivati dalla perdità del posto di lavoro e quelli di salute creati dall’avere contratto una grave forma depressiva.
L’arresto e la successiva innocenza
Filippo Pappalardi fu arrestato il 27 novembre 2007 con l’accusa di sequestro di persona, omicidio volontario ed occultamento di cadavere. Gli vennero concessi i domiciliari solo quando i corpi dei suoi figli furono ritrovati. Quando, in seguito all’autopsia eseguita sul corpo dei suoi due figli, furono rivelate le reali cause della morte, l’uomo fu finalmente liberato. Ora Pappalardi ottiene un risarcimento che a nulla potrà valere sul piano morale, ma che molto potrà fare poiché è l’ennesima conferma della sua innocenza dall’accusa infamante dell’avere ucciso i propri figli.
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Di seguito la lettera che scrissi nel 2007 al Presidente della Repubblica per chiedere la scarcerazione di Filippo Pappalardi, padre dei due fratellini, ingiustamente accusato e imprigionato.
Onorevole Presidente,
Da semplice cittadina mi permetto di scriverLe per rivolgerLe una preghiera. Credo di interpretare il pensiero di molti italiani facendo appello al Suo comprovato senso di equità e di umanità per chiederLe di dirimere una questione che sta tenendo con il fiato sospeso la maggior parte dei miei concittadini.
Mi riferisco alla vicenda di Gravina, tragicamente ritornata alla ribalta dopo che la caduta accidentale di un bambino in un pozzo ha consentito il ritrovamento dei poveri resti dei due fratellini Pappalardi. La casualità di questo incidente, verificatosi pressoché con le stesse modalità con le quali si suppone abbiano perso la vita Ciccio e Tore, è parso a molti un evento misterioso, quasi ultra terreno, come se quei due angioletti avessero voluto farsi ritrovare in quelle circostanze per aprire finalmente gli occhi agli inquirenti e scagionare il loro papà, incarcerato da novembre con la più infamante delle accuse.
Ma, contro ogni aspettativa, i magistrati hanno affermato che il quadro probatorio elaborato in precedenza, che aveva portato all’arresto di Filippo Pappalardi, non era stato minimamente scalfito dal ritrovamento dei corpi. Da allora l’interesse dei media e dell’opinione pubblica per questa triste vicenda non ha fatto che aumentare e, man mano che venivano pubblicamente smantellati tutte i presunti indizi a carico del padre, le perplessità riguardo all’operato di questi magistrati sono cresciute. Nessuno, infatti, riesce ad immaginare come avrebbe potuto un uomo trasportare due ragazzi di 11 e 13 anni su per le scale di quel casolare diroccato, in pieno centro del paese, per scaraventarli in quel pozzo vivi lasciandoli poi morire di fame e di stenti. Non sarebbe stato più facile portarli in campagna e sbarazzarsi dei corpi lì? Il movente che gli inquirenti avevano originariamente addotto era quello di una “punizione eccessiva”, dettata dall’ira e sfociata in tragedia. Ma, alla luce dei nuovi fatti, quella di Pappalardi sarebbe stata invece una fredda e spietata esecuzione, difficile da immaginare per qualunque genitore. Inoltre, la deposizione del cosiddetto “super-baby-testimone” che inchioderebbe Pappalardi, resa a distanza di due mesi dalla scomparsa dei due fratellini, suscita anch’essa molti dubbi dato che il bambino che afferma di aver visto Ciccio e Tore salire nell’auto del padre la sera del 5 giugno ha dichiarato che con loro c’era anche la sorellastra, la quale invece smentisce e dice che si trovava in casa con le sorelle. D’altronde, ci si chiede, se fosse vera questa versione dei fatti, che ruolo avrebbe avuto la ragazzina in questa vicenda? Si era resa complice del patrigno ed era stata poi costretta al silenzio da lui oppure aveva visto anche lei i fratellini precipitare nel pozzo ed aveva deliberatamente deciso di tacere? Pappalardi, da lucido ed efferato assassino quale lo hanno dipinto, non avrebbe dovuto sbarazzarsi anche di uno scomodo testimone come lei anziché rischiare di essere un giorno incastrato da una sua testimonianza? Tutte domande alle quali è difficile trovare una risposta plausibile. Inutile parlare, poi, delle intercettazioni ambientali, di difficile comprensione e tutte interpretabili in maniera differente.
Ora, appare improbabile che i magistrati non si siano interrogati a loro volta su questi semplici ragionamenti dettati dalla logica. Viene quindi spontaneo chiedersi cosa li porta ad accanirsi continuando a portare avanti una tesi accusatoria che appare a tutti sempre più lacunosa, precaria e traballante, fino ad opporsi alla scarcerazione con la paradossale motivazione che l’accusato “potrebbe reiterare ed uccidere ancora”, ma chi avrebbe già ucciso nessuno riesce a capirlo.
I pochi “colpevolisti” rimasti ritengono che la magistratura abbia in mano qualche prova schiacciante che ancora non è stata resa nota ai media. Ed è per tutti auspicabile che sia così, perché altrimenti verrebbe messa a dura prova la fiducia dei cittadini nella magistratura e nelle istituzioni.
A questo punto solo Lei, onorevole Presidente, anche nella Sua qualità di Presidente del Consiglio della Magistratura, può intervenire, ordinando di aprire una inchiesta per verificare se le indagini sono state svolte in maniera corretta ed ineccepibile, e fugando così definitivamente l’atroce dubbio che i magistrati, pur di non ammettere il loro errore o per evitare che vengano alla luce delle loro omissioni od inadempienze, stiano giocando una squallida partita sulla pelle e sulla dignità di un uomo detenuto ingiustamente.
Fiduciosa che Lei prenderà, come sempre, la decisione più giusta, colgo l’occasione per porgerLe i miei più rispettosi saluti.
Patrizia Ciava