Un siciliano che dice no al ponte per fare dispetto a Salvini è come un uomo che si fa evirare per fare dispetto alla moglie
Per diversi anni ho trascorso le vacanze estive in Calabria e, più di una volta, ho raggiunto la Sicilia via mare, attraversando lo Stretto con il traghetto. Ogni volta provavo un senso di imbarazzo e persino di vergogna nel vedere le espressioni sbigottite dei turisti: file interminabili sotto un sole implacabile, il tanfo acre di gasolio che bruciava le narici, il frastuono e le urla concitate degli addetti che smistavano auto e camion. Tutto evocava lo scenario di un vecchio film del dopoguerra in bianco e nero, oppure quello di traghettatori che, in qualche angolo remoto del mondo, fanno attraversare fiumi torbidi verso terre inospitali e pericolose.
Quell’atmosfera di disordine, degrado e abbandono sembrava avvolgermi come una patina appiccicosa, e non mi lasciava neppure dopo lo sbarco. Al contrario, mi accompagnava nei primi chilometri percorsi sull’isola, alimentando l’impressione di trovarmi in una terra splendida e selvaggia, sì, ma anche arretrata, ostile, segnata dal peso di antichi pregiudizi e dalle ombre delle cronache di mafia.
Oggi raggiungo la Sicilia in aereo, evitando il rito stanco e caotico del traghetto. Eppure, nonostante la comodità del volo, quell’impressione iniziale non è scomparsa del tutto: rimane sospesa nell’aria, come una nuvola di diffidenza e amarezza, pronta a offuscare la luce abbagliante di questa terra meravigliosa.
Proprio per questo, ho atteso per anni la realizzazione del ponte sullo Stretto: perché, come italiana, desidero essere orgogliosa di ogni parte del mio Paese. Ora che sembra davvero a un passo dal diventare realtà, scoprire che proprio alcuni siciliani lo osteggiano, più per ripicca politica che per convinzione, mi amareggia profondamente. È come se, per ferire l’avversario, si fosse disposti a privarsi di un bene prezioso: un sacrificio sterile, che non lascia vincitori, ma solo un’occasione perduta per tutti.