Ed io torno a chiedere — e a chiedermi, con sempre maggiore inquietudine —: perché abbiamo costruito una società tanto sbilanciata nei suoi valori?
Perché chi rischia la vita ogni giorno per garantire la nostra sicurezza viene retribuito con stipendi modesti, spesso insufficienti persino a riconoscere la dignità della loro missione, mentre chi ci intrattiene — talvolta senza alcun vero talento, ma solo spinto dalla macchina del consenso mediatico — viene osannato come un eroe e ricoperto d’oro?
Chi merita davvero il nostro applauso? Chi dedica la propria esistenza ad aiutare chi ha bisogno, a difendere vite altrui, a intervenire quando tutti scappano… o chi riempie i palinsesti televisivi e le pagine dei rotocalchi senza assumersi mai una responsabilità reale?
Penso a Francesco e Marco, due agenti della Polizia di Stato, in servizio presso la Questura di Roma. Sono loro i veri protagonisti silenziosi di una vicenda che avrebbe potuto finire in tragedia. Durante l’esplosione di un distributore di carburante nella Capitale, non hanno esitato un istante. Hanno cinturato l’area per proteggere i cittadini, si sono spinti oltre la paura, oltre il calore insopportabile, per mettere in salvo quante più persone possibile.
E sono stati travolti da una violenta ondata di calore, rimanendo gravemente ustionati. Avrebbero potuto morire. Ma non si sono tirati indietro. Non lo hanno fatto prima, e non lo farebbero nemmeno ora.
“Lo rifaremmo senza esitazione”, hanno dichiarato entrambi, rispondendo con gratitudine alle migliaia di messaggi di affetto e incoraggiamento ricevuti. Parole che pesano, oggi più che mai, in un’epoca in cui l’eroismo vero sembra fuori moda e i valori della dedizione, del sacrificio e del senso del dovere sembrano relegati ai margini della nostra coscienza collettiva.
Ora Francesco e Marco si trovano ricoverati presso il Policlinico Umberto I, affidati alle cure attente e competenti del personale sanitario. Ci resteranno per un po’, il tempo necessario per guarire nel corpo. Ma nello spirito, già si preparano a tornare in servizio. Perché sentono di appartenere a quella missione più grande di loro: proteggere la comunità, anche a costo della propria incolumità.
E allora mi domando: quando restituiremo il giusto valore a persone come loro? Quando smetteremo di dare priorità a chi fa rumore e torneremo ad ascoltare chi agisce nel silenzio?
Non è solo una questione di stipendi o di riconoscimenti ufficiali. È una questione di cultura. Di coscienza. Di responsabilità collettiva. Dobbiamo imparare a celebrare chi costruisce, chi protegge, chi lotta ogni giorno per un bene comune spesso invisibile.
A Francesco e Marco non servono palcoscenici. Sono già grandi, senza bisogno di riflettori. Ma noi, come società, abbiamo il dovere di guardarli per ciò che sono: autentici eroi del nostro tempo.