Non è un segreto che Hollywood non abbia mai nutrito simpatia per Donald Trump.
Attori, registi e musicisti si sono schierati apertamente contro di lui, sostenendo con forza la campagna elettorale di Kamala Harris e ingaggiando un aspro scontro con il tycoon, sia prima che dopo le elezioni. Che si tratti di una scelta dettata da convinzioni personali o da opportunismo, poco importa. Nel mondo dello spettacolo chi non si oppone a Trump rischia l’isolamento sociale, politico e professionale.
Trump e il ritorno al criterio biologico: il primo atto della sua presidenza
Uno dei temi più controversi nel dibattito pubblico americano riguarda l’identità di genere e il suo utilizzo come criterio per l’attribuzione del sesso. L’amministrazione Biden aveva adottato una politica che permetteva di modificare l’identità di genere sui documenti ufficiali senza necessità di transizione medica, rendendo il sesso biologico irrilevante nei registri pubblici. Questo approccio ha avuto conseguenze concrete, consentendo a uomini che si identificavano come donne di accedere a spazi riservati al sesso femminile, con implicazioni nello sport, nei luoghi pubblici e persino nel sistema carcerario, dove si sono verificati episodi di violenza e abusi ai danni delle detenute.
Nel suo primo giorno alla Casa Bianca, Donald Trump ha segnato una svolta netta firmando un ordine esecutivo intitolato “Difendere le donne dall’estremismo dell’ideologia gender e ristabilire la verità biologica nel governo federale”. Il provvedimento stabilisce che esistono solo due sessi – maschile e femminile – e che l’identità di genere non può sostituire il sesso biologico nei documenti ufficiali. Secondo Trump, il concetto di identità di genere è soggettivo e scollegato dalla realtà biologica, e non può costituire un criterio valido per le politiche federali.
Con questa decisione, Trump ha mantenuto una promessa chiave della sua campagna elettorale, ripristinando il criterio biologico come unico riferimento per la distinzione tra uomini e donne. Il suo ordine esecutivo rappresenta una rottura drastica rispetto alle politiche di Biden e avrà un impatto significativo su ambiti sensibili, come la partecipazione sportiva, la sicurezza nei luoghi riservati alle donne e la gestione delle carceri.
La questione trans negli Stati Uniti
Il cuore del dibattito resta dunque l’incongruenza tra l’idea di identità di genere, basata su un’autopercezione soggettiva e mutevole, dominata dagli stereotipi, e l’attribuzione del sesso, che tradizionalmente si fonda su parametri biologici. Se l’identità di genere è fluida e personale, può davvero essere utilizzata come criterio per giustificare trattamenti medici irreversibili, soprattutto in età adolescenziale?
Un altro ordine esecutivo significativo di Trump, intitolato “Proteggere i bambini dalla mutilazione chimica e chirurgica”, impone il divieto di transizione ormonale e chirurgica per i minori di 19 anni. Negli Stati Uniti, un numero crescente di minori ha intrapreso trattamenti ormonali o chirurgici per cambiare sesso, anche senza il consenso dei genitori, sollevando un acceso dibattito sulla sicurezza e l’etica di tali procedure in età precoce, visto che hanno portato alla sterilizzazione e mutilazione di un numero crescente di giovani.
L’identità di genere e il dibattito sulla transizione nei minori
Negli ultimi anni, si è osservato un notevole aumento di bambini che non si identificano con il sesso assegnato alla nascita. In particolare, tra i figli delle star di Hollywood, sembra esserci un incremento di giovani che intraprendono percorsi di transizione. Alcuni genitori, influenzati dalla narrazione mass-mediatica, interpretano comportamenti come il gioco con bambole o l’interesse per abiti considerati “non conformi” come segnali di una possibile disforia di genere, spingendo i propri figli verso una transizione sociale o medica precoce.
L’ordine esecutivo di Trump è stato interpretato da molti come un attacco alla comunità LGBTQ+, scatenando reazioni indignate da parte di attivisti e celebrità, che hanno espresso il loro dissenso sui social media e promesso di contrastare questa decisione con iniziative pubbliche e legali.
Emilia Pérez e la polemica sugli Oscar
In questo contesto si inserisce il film Emilia Pérez, che con le sue 13 nomination agli Oscar sembra rappresentare una risposta diretta alle politiche di Trump. Diretto dal regista francese Jacques Audiard, il film affronta tematiche legate all’identità di genere attraverso la storia di Emilia, un boss della droga messicano che decide di sottoporsi a un intervento di affermazione di genere per sfuggire alla giustizia.
L’elemento più rilevante nella corsa agli Oscar è la candidatura di Karla Sofía Gascón come Miglior Attrice, segnando la prima volta in cui una donna transgender riceve una nomination in questa categoria. Questa candidatura rappresenta una sfida simbolica alle politiche di Trump, che hanno cercato di limitare il riconoscimento legale dell’identità di genere.
Per molti, questo film non merita tali riconoscimenti, e le reazioni del pubblico lo confermano. Recensioni e video pubblicati online mostrano che la maggior parte degli spettatori non lo ha trovato neanche lontanamente decente, per non parlare di un candidato da Oscar.
Persino il pubblico a cui era destinato sembra rifiutarlo categoricamente. Secondo ABC News, i sostenitori LGBTQ hanno espresso opinioni contrastanti: alcuni ritengono che il film ricicli stereotipi offensivi e offra una rappresentazione stonata delle comunità trans. Persino la GLAAD, un’importante organizzazione LGBTQ, lo ha escluso dalle nomination ai Media Awards, perché polemicamente definito un “ritratto profondamente retrogrado di una donna trans”.
Anche la rappresentazione del Messico è stata oggetto di critiche, con accuse di superficialità e insensibilità culturale. Il Messico è dipinto come un luogo violento e miserabile, con riferimenti stereotipati come tequila e guacamole. Inoltre, ci sono state critiche per l’uso errato della lingua spagnola da parte del cast. Lo sceneggiatore messicano Héctor Guillén ha definito il film una “presa in giro razzista eurocentrica”. Insieme alla regista trans messicana Camila Aurora, ha addirittura realizzato una parodia virale ispirata a Emilia Pérez, intitolata Johanne Sacreblu, che ironizza sugli stereotipi francesi.
D’altra parte, la critica più tradizionale e alcuni organismi di premiazione hanno lodato il film per il suo approccio “d’avanguardia” all’identità trans e alla guerra alla droga in Messico. Recensioni entusiastiche hanno elogiato il “coraggio” e “l’originalità” del regista francese Jacques Audiard, che ha scelto di raccontare questa storia attraverso un musical psichedelico in lingua spagnola.
Tuttavia, il grande pubblico, almeno secondo Letterboxd, non ha riservato lo stesso entusiasmo al film. Molti critici queer sono rimasti perplessi, se non addirittura infastiditi dalla sua esistenza. Alcuni critici hanno smontato il film pezzo per pezzo. Harron Walker di The Cut ha criticato l’uso dell’identità trans come strumento “intrinsecamente redentivo” per il protagonista criminale. Autostraddle ha definito il film la “sciocchezza cis più unica che vedrai mai”.
A rendere ancora più incredibile il numero di nomination ricevute da Emilia Pérez è il confronto con altri film storici. Dal 1939 ad oggi, solo nove film hanno ottenuto un numero così alto di nomination, tra cui Via col vento, Forrest Gump, Oppenheimer, Chicago e Il signore degli anelli: La compagnia dell’anello. I soli film con più nomination sono Eva contro Eva, Titanic e La La Land, tutti con 14 candidature.
Nonostante ciò, il film di Audiard ha dominato i Golden Globes con 10 nomination, vincendone quattro. Agli Oscar ha ottenuto candidature per Miglior film, Miglior regista, Miglior attrice (Karla Sofía Gascón), Miglior attrice non protagonista (Zoe Saldaña) e Miglior canzone originale per due brani musicali.
Nel clima politico attuale, la presenza di Emilia Pérez nella corsa agli Oscar non sorprende. Il film rientra perfettamente in una categoria di pellicole che Hollywood ama celebrare e che permettono agli spettatori di sentirsi socialmente consapevoli, esaltando messaggi politicamente corretti, senza realmente mettere in discussione stereotipi.
Emilia Pérez racconta la storia di Rita (Zoe Saldaña), un avvocato difensore dominicano stanco del sistema legale corrotto del Messico. Dopo aver fatto scagionare un noto personaggio colpevole di omicidio, viene rapita da Emilia (in precedenza nota come “Manitas”), un boss del cartello che vuole abbandonare la vita criminale e sottoporsi a un intervento chirurgico di affermazione di genere.
La narrazione diventa rapidamente confusa: la transizione di Emilia è descritta come una strategia per sfuggire alla giustizia, un espediente per evitare condanne, che suscita polemiche. Rita organizza numerosi interventi chirurgici per Emilia, che vengono eseguiti tutti in una volta (procedura irrealistica). Successivamente, Emilia cerca di riunirsi alla moglie Jessi (Selena Gomez) e ai figli, fingendo di essere la loro zia.
Il film evita di approfondire la psiche di Emilia, lasciando il pubblico a osservare la sua vita caotica e tragica. Anche Karla Sofía Gascón, pur cercando di aggiungere profondità al personaggio, non riesce a bilanciare la rappresentazione carente scritta da Audiard.
Uno dei problemi più gravi è il modo in cui il film rappresenta la transessualità. Come osserva il critico Juan Barquin, il film si concentra esclusivamente sugli aspetti fisici della transizione e riduce l’identità trans a un “cambiamento esterno”. In una scena virale, un chirurgo canta un numero musicale dal titolo La vaginoplastia, ridicolizzando il processo di affermazione di genere.
Alla luce di tutte queste critiche, le 13 nomination di Emilia Pérez sembrano più il risultato di un’operazione politica che di un effettivo valore cinematografico. Il film ha diviso il pubblico e la critica, con molti che lo considerano un pasticcio culturale e narrativo.
Molti osservatori vedono in Emilia Pérez un caso emblematico di una tendenza ormai consolidata agli Oscar: premiare film che affrontano tematiche sociali sensibili per ottenere consenso, piuttosto che per il loro valore cinematografico. Il film si inserisce in quella categoria di pellicole che l’Academy celebra per il loro “impegno”, anche quando il loro impatto culturale risulta carente.
Se da un lato è indubbio che il cinema abbia il potere di portare avanti messaggi di inclusione e sensibilizzazione, dall’altro il rischio è che questo avvenga a scapito della qualità. In questo caso, Emilia Pérez appare come un film che più che rappresentare una comunità, sfrutta una tematica per guadagnarsi un posto nelle premiazioni, generando più polemiche che entusiasmo.
L’Academy lo premierà comunque? O, come molte multinazionali che stanno abbandonando le politiche woke, anche Hollywood inizierà a fare marcia indietro? La decisione di Netflix di non sostenere la candidatura di Karla Sofía Gascón per via di tweet controversi suggerisce che qualcosa potrebbe cambiare.
Qualunque sia l’esito degli Oscar, una cosa è certa: la battaglia culturale tra Hollywood e Trump è ancora in pieno svolgimento, e Emilia Pérez ne è solo l’ultimo capitolo.