Blog anti-disfattismo

Molti italiani sembrano affetti da una forma di autolesionismo patologico. Notai questo atteggiamento appena arrivai in Italia, dove ero nata ma non avevo mai vissuto, avendo trascorso la mia infanzia in diversi Paesi– come Spagna, Francia, Belgio e Inghilterra. Nelle scuole che avevo frequentato all’estero, mi avevano insegnato che il patriottismo è un valore fondamentale e il principale dovere di ogni cittadino. Fui quindi stupefatta nel sentire parlare gli italiani con disprezzo – quasi con odio – del loro paese e persino dei loro connazionali.

Mi ha sorpreso, in particolare, scoprire che, per molti italiani, la parola “patriottismo” è considerata sinonimo di “fascismo”, come se esprimere amore per la propria nazione sia disdicevole o persino pericoloso. Questa percezione sembra così radicata da non essere quasi più riconosciuta come tale: l’idea stessa di orgoglio nazionale, o di appartenenza, è messa in discussione a tal punto che è più facile percepire l’Italia come qualcosa da criticare piuttosto che da celebrare. È come se molti italiani considerassero l’autocritica estrema, se non la denigrazione, l’unica chiave per comprendere e rapportarsi al proprio Paese.

Questo atteggiamento porta spesso a una visione idealizzata di altri Paesi, come Francia, Germania, o Regno Unito, che vengono visti come modelli di efficienza, giustizia e progresso, dimenticando o ignorando i difetti che anche queste nazioni inevitabilmente hanno, dalle difficoltà burocratiche alle problematiche sociali, dalla corruzione ai conflitti politici. Un aspetto sconosciuto a molti italiani è il modo in cui la maggior parte dei cittadini stranieri tendono a negare o nascondere i difetti della loro nazione. Negli altri Paesi europei in cui ho vissuto, esiste un forte senso di appartenenza: ci si critica, certo, ma c’è una sorta di linea invisibile che non si attraversa, per evitare di danneggiare l’immagine del proprio Paese all’estero. Giornalisti, politici e cittadini si sforzano di minimizzare i problemi interni o trattarli con discrezione, mettendo in risalto piuttosto i successi e i punti di forza.

In Italia, al contrario, sembra esserci una sorta di “culto della lamentela”, una tendenza radicata che porta a concentrarsi sugli aspetti negativi della realtà, ignorando spesso i segnali positivi. Questa predisposizione è alimentata dai media, sia televisivi che cartacei, che diffondono quotidianamente programmi e articoli di denuncia, enfatizzando problematiche e criticità. Il risultato è la creazione di un clima pervasivo di frustrazione e pessimismo, che instilla nei cittadini la convinzione che “da noi va tutto male” e che i disastri e gli scandali siano peculiari dell’Italia, anche quando i dati e le circostanze dimostrano il contrario. Questo atteggiamento si traduce in un’autocritica che, invece di essere costruttiva e finalizzata al miglioramento, diventa un’arma distruttiva, capace solo di alimentare un senso di disillusione collettiva.

Uno degli esempi più emblematici di questa dinamica è il caso di Francesco Schettino, il comandante della Costa Concordia, che nel gennaio 2012 abbandonò la nave durante il naufragio. La vicenda, amplificata dai media italiani, contribuì a creare l’immagine dell’italiano medio come codardo, privo di serietà professionale e senso di responsabilità. Il caso Schettino divenne rapidamente un simbolo internazionale, utilizzato anche dalla stampa estera per ridicolizzare l’Italia. Un giornale tedesco, ad esempio, sottolineò con cinismo: “Non sorprende che quel comandante sia italiano, un tedesco non lo avrebbe mai fatto”.

Tuttavia, la narrazione negativa oscurò un altro evento di quella stessa notte: il coraggio del vice-sindaco dell’isola del Giglio, Mario Pellegrini. Mentre Schettino fuggiva dalla scena, Pellegrini salì a bordo della Costa Concordia, rischiando la vita per salvare decine di persone. Incredibilmente, fu un giornale inglese a raccontare la sua storia, non i media italiani, che continuarono invece a focalizzarsi sull’incompetenza e la viltà di Schettino. Quando un giornalista britannico chiese a Pellegrini se avesse ricevuto qualche riconoscimento per il suo atto di eroismo, la risposta fu che nessuna autorità lo aveva ringraziato e nessun giornalista italiano lo aveva intervistato.

Unlike the stricken liner’s captain, the deputy mayor of Giglio played a key role in the rescue operation near his Italian island

Questo episodio evidenzia come la stampa estera, in alcuni casi, mostri una maggiore equanimità nel rappresentare i fatti, offrendo una visione più bilanciata. Se i media italiani avessero dato spazio a storie come quella di Pellegrini, si sarebbe potuta contrastare la narrativa negativa generata dal caso Schettino, offrendo al pubblico, sia italiano che internazionale, una rappresentazione più complessa e sfumata del nostro Paese.

Il problema di fondo è che l’Italia sembra spesso incapace di valorizzare i propri eroi e di costruire una narrativa nazionale che celebri i comportamenti virtuosi e positivi. Questo approccio non solo alimenta un’immagine distorta e ingiusta del Paese, ma rischia anche di scoraggiare quei cittadini che, attraverso il loro impegno quotidiano, contribuiscono in modo significativo al bene comune.

In una società che si nutre di pessimismo, la capacità di evidenziare eccellenze ed esempi di valore diventa cruciale per alimentare il senso civico e l’orgoglio nazionale. Altrimenti, si rischia di rimanere intrappolati in un circolo vizioso di auto-denigrazione che non fa altro che perpetuare una visione ingiusta e riduttiva dell’Italia. Non si tratta di nascondere i problemi; bilanciare critica e valorizzazione non è un atto di cecità, ma un percorso consapevole verso una società più fiduciosa, coesa e propositiva. L’Italia ha tutte le potenzialità per prosperare, a patto che riesca a vedersi con occhi nuovi.

L’Italia è un Paese ricco di contraddizioni, ma anche di grandi risorse: eccellenze nel campo della cultura, dell’arte, della scienza, dell’industria, dell’innovazione tecnologica e della solidarietà civile. Tuttavia, spesso queste storie di successo, queste espressioni di talento e dedizione, rimangono in ombra rispetto a una narrazione che privilegia i fallimenti e le mancanze. È necessario quindi promuovere una cultura della valorizzazione, capace di dare risalto ai risultati ottenuti e alle storie di coraggio e determinazione, affinché possano fungere da ispirazione e stimolo per la società intera.

Questo approccio non si limita a una forma di ottimismo superficiale o a una difesa nazionalistica priva di autocritica, ma si propone di offrire una visione più completa, che tenga conto della complessità. In un mondo sempre più globalizzato, dove la competizione tra nazioni è anche una questione di immagine e reputazione, saper comunicare le proprie eccellenze diventa un elemento strategico. Una nazione che si presenta costantemente in modo negativo non solo rischia di scoraggiare i propri cittadini, ma perde anche terreno nella percezione internazionale.

C’è bisogno di un cambiamento culturale profondo che parta dai media, dalle istituzioni e dalle scuole, promuovendo una narrazione più equilibrata, capace di alternare la necessaria denuncia delle problematiche con il riconoscimento dei meriti e dei successi. Solo così si potrà restituire al popolo italiano l’orgoglio di appartenere a una nazione che, nonostante le difficoltà, è capace di grandi cose. Raccontare storie di eccellenza non è solo un dovere morale, ma anche un investimento sul futuro, poiché stimolare l’ammirazione per chi raggiunge grandi traguardi può innescare un circolo virtuoso di emulazione e crescita.

Grazie per l’attenzione ed i graditi contributi.

Patrizia Ciava (trishadria)

Un commento

  1. Cara Valeria, ti posso dire che a seminare discredito sul paese sono SOLO gli italiani, sia in patria sia fuori. Come un Grillo che in un discorso al Parlamento Europeo va a dire: “Non date soldi all’Italia perché finiscono tutti alla Mafia”. O una Sabina Guzzanti che gira un documentario pieno di falsità pur di colpire l’avversario politico e lo mostra al mondo vanificando l’impegno di centinaia di volontari e operatori e la perfetta organizzazione della protezione civile nell’emergenza. Pochi mesi dopo il terremoto gli aquilani ebbero tutti un tetto sulla testa, scuole e ospedale. Tuttora si sta svolgendo una straordinaria opera di ristrutturazione di una intera città medievale, una impresa mai realizzata al mondo e che avrebbe potuto essere un fiore all’occhiello per tutta l’Italia, un esempio di eccellenza nel mondo, invece continuano a screditarlo per faziosità e opportunismo politico. Molti italiani non capiscono che le notizie negative sull’Italia provengono dai nostri media, la maggior parte dei corrispondenti esteri che operano qui si limitano a copiare e tradurre gli articoli che leggono sui nostri giornali. E, in ogni caso, se un reporter straniero scrive un articolo diffamatorio sull’Italia noi lo elogiamo, lo appoggiamo, diciamo che ci “vergogniamo di essere italiani”, mentre all’estero si irritano, protestano anche ufficialmente, e cercano in ogni modo di soffocarne il clamore. Ricordi l’arresto di Dominique Strauss-Kahn a New York? Furono i media americani a fare scoppiare lo scandalo. Dovevi leggere i commenti dei francesi infuriati perché si erano permessi di toccare un loro concittadino! Dopo pochi giorni non si parlò più della questione. Molti in Italia si chiedono perché all’estero i politici si dimettono appena vengono sfiorati da uno scandalo, la risposta è semplice: per il motivo citato sopra, perché sono stati educati a far prevalere l’interesse della nazione e a preservarne l’immagine, quindi sono pronti a sacrificare i loro interessi privati pur di salvaguardare la reputazione del loro paese. D’altra parte se non lo facessero verrebbero esposti al pubblico ludibrio poiché esiste una forte condanna sociale per chi infanga il nome del proprio paese o gli fa perdere credibilità.

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