Sanremo 2019: Il Volo e il bullismo della stampa

 

Per festeggiare i loro primi dieci anni di carriera, traguardo importante per qualsiasi artista, i tre cantanti de Il Volo avevano annunciato l’uscita di un nuovo album e un tour mondiale. I fan erano in trepidante attesa di conoscere le novità che avevano in serbo ma quando a dicembre i tre giovani hanno rivelato, a sorpresa, l’intenzione di partecipare al Festival di Sanremo, non come ospiti ma come concorrenti, per celebrare il loro decimo anniversario sul palco dell’Ariston, che li aveva visti nascere, sono stati in molti ad esternare sconcerto e preoccupazione, chiedendosi se critici e giornalisti avrebbero riconosciuto finalmente il loro valore artistico oppure li avrebbero boicottati come al solito.

I tre ragazzi apparivano sicuri della loro proposta musicale che descrivevano come innovativa rispetto al loro genere solitamente più classico. Tra gli autori del brano figurava anche Gianna Nannini che aveva contribuito a renderlo più rock e graffiante.

L’anno 2019 era iniziato in maniera ottimale per Gianluca, Piero e Ignazio che hanno finalmente potuto coronare il loro sogno di cantare l’Ave Maria Mater Misericordiae davanti a papa Francesco e ai cinquecentomila ragazzi radunati nella città di Panama per la Giornata Mondiale della Gioventù. In Italia erano passate da cinque minuti le due di notte di domenica e a Panama erano le otto di sera di sabato 26 gennaio quando sul palco del Metro Park di Panama Il Volo ha intonato in mondovisione le note dell’Ave Maria Mater Misericordiae, brano dedicato proprio al Santo Padre dai tre ragazzi, che a lui avevano donato la prima copia del disco in una udienza privata nel 2017.

«È stato il momento più emozionante della nostra vita artistica. E non c’era modo migliore per iniziare i festeggiamenti per i dieci anni della nostra carriera» dichiara commosso Piero Barone.

«Queste esperienze sono davvero uniche, ma vivendole alla nostra età forse lo sono ancora di più. Poter cantare l’Ave Maria per il Papa a 23, 24 e 25 anni è qualcosa che racconteremo ai nostri figli e nipoti» prosegue Gianluca

«Essere in una situazione del genere con tantissimi giovani che condividono la spiritualità, la religione e la fede è davvero emozionante. Ed è ancora più bello vedere come la musica riesca a entrare nei cuori delle persone e le faccia emozionare. Durante l’Ave Maria, che è stata come una preghiera cantata, c’erano dei ragazzi che piangevano per la commozione. Non posso che ripetere quello che hanno detto Piero e Gianluca: è stata senz’altro una delle esperienze più forti della nostra vita» aggiunge Ignazio.

La decisione dei tre cantanti di mettersi in gara sul Palco dell’Ariston era percepita da alcuni come un atto di coraggio e di umiltà, da altri come un atto di incoscienza dovuta alla giovane età. Ma Gianluca, Ignazio e Piero apparivano sereni e ribadivano di non sentirsi in competizione e di voler soltanto presentare al mondo il loro nuovo brano e album, ritenendo Sanremo una vetrina importante per raggiungere un vasto pubblico.

In realtà, tutti quelli che conoscevano il loro percorso artistico si rendevano perfettamente conto che Il Volo non aveva certo bisogno di Sanremo per farsi pubblicità e che era piuttosto vero il contrario, la loro presenza avrebbe assicurato un afflato internazionale al festival della canzone italiana, e su questo puntavano gli organizzatori. Molti fan stranieri avevano dichiarato infatti di aver scoperto l’esistenza del Festival solo da quando i loro beniamini lo avevano vinto nel 2015.

Nel presentare la nuova edizione, Claudio Baglioni, alla sua seconda esperienza come direttore artistico, aveva espresso l’intento di “rispecchiare la vitalità della musica italiana, da quella che si ascolta in radio a quella che si fa strada sul web e a quella che si va a vedere nei locali, per rappresentare una varietà di generi e generazioni inedita e coinvolgere per la prima volta molti artisti finora distanti dal festival“. Per questo motivo si era autodefinito scherzosamente un “dirottatore artistico”.

Il sentore che la “musica” non sarebbe invece cambiata per Il Volo si ebbe dalle prime recensioni delle canzoni in gara dopo l’audizione in anteprima della stampa.

Un articolo di Rolling Stone Italia ha aperto le danze con un articolo, ingiurioso anche nei confronti dei fan americani, intitolato “Il Volo è l’Italia tarocca vista dall’America: Il trio di tenorini, che quest’anno a Sanremo festeggia dieci anni, è il corrispettivo musicale di quelle orrende gondole souvenir che si vendono a Venezia” scritto da un anonimo cronista, tale Giorgio Moltisanti, il quale arriva addirittura ad insinuare legami del loro primo produttore, Tony Renis, con la mafia italo-americana. Al fine di avvalorare la sua avversione per il trio, l’autore afferma che punk, pop, dark, metallari e rapper condividono la sua opinione, senza evidentemente considerare la contraddizione insita in questa affermazione, dato che quei generi tanto ammirati sono nati nella stessa nazione di cui disprezza il pubblico. In pratica, ripropone l’assurda dicotomia tutta italiana per cui qualsiasi prodotto musicale o culturale proveniente da oltreoceano è valido e da imitare mentre se, al contrario, piace una nostra proposta è perché gli americani non capiscono niente e non sono in grado di valutare. L’intero articolo, oltre ad essere incongruente, trasudava invidia e frustrazione da parte di chi si arrabatta per guadagnare qualche euro scrivendo ciò che detta l’establishment, contro tre giovani ventenni che mietono successi in tutto il mondo.

Povero Giorgino, tanto ottenebrato dall’odio e dalla partigianeria da non riuscire nemmeno a rendersi conto che scrivere un articolo con tanto livore, senza alcun equilibrio, senza alcuna competenza è una dichiarazione gridata di incapacità, di ignoranza e di odio senza fondamento” si legge in un commento.

Gli articoli delle altre testate non si discostavano di molto e i cliché riproposti erano sempre gli stessi: “il loro genere è troppo classico”, “piacciono solo ai vecchi”, “hanno successo in America dove notoriamente il pubblico non capisce niente in fatto di musica”.

La parola d’ordine era sminuire il loro successo, farli credere un “prodotto creato a tavolino” e privo di talento. La carrellata di giudizi impietosi sembrava rispondere ad un’unica regia (1) e, come vedremo in seguito, non si trattava solo di una impressione.

Per i nostri cosiddetti esperti la grande scoperta del momento è il Trap, il genere musicale nato negli anni ’90 nei sobborghi di Atlanta e proposto all’inizio del 2000 da rapper come T.I., Young Jeezy, Gucci Mane, considerato un sotto-genere musicale in via di estinzione negli Stati Uniti ma esaltato e definito all’avanguardia da noi dove nulla è cambiato dai tempi in cui Renato Carosone cantava “Tu vuò fa’ l’americano”.

Giornalisti e critici di mezza età mostrano un entusiasmo imbarazzante per questi rapper e trapper nostrani, che vengono promossi in ogni modo attraverso la stampa, la radio e i media in generale. Nelle pagelle delle canzoni in gara a Sanremo, stilate dai giornalisti delle grandi testate, il voto più alto era invariabilmente attribuito al brano del cantante trap Achille Lauro, “Rolls-Royce”. Una giornalista di RAI2 definisce il testo “pura poesia”, mentre un altro conia il termine “citazionale” per lodarlo dato che il brano si limita a citare icone rock e pop e a ripetere ossessivamente la parola “Rolls-Royce”. Il sospetto avanzato dal programma Striscia la Notizia che si tratti di un inno all’Ecstasy (dato che le famose pillole sono appunto chiamate anche con quel nome) ha suscitato reazioni sdegnate da parte dell’establishment che si è affrettato a smentirle.

E’ sconcertante, e preoccupante, rilevare il tentativo, da parte di noti personaggi del mondo dell’informazione e dello spettacolo, di modellare la cultura giovanile elogiando canzoni che parlano di violenza, di denaro, di sesso fine a se stesso, di donne trattate come oggetto di piacere, che incoraggiano l’uso di droghe e di brutalità mentre i testi che parlano di amore romantico e di sentimenti sono relegati ad anticaglie inascoltabili. L’unico aspetto positivo è che essendo il rap e il trap nati per simboleggiare la ribellione adolescenziale, il fatto che siano tanto ammirati da critici e opinionisti anziani potrebbe renderlo meno attraente per i più giovani.

Lo sforzo della stampa di arginare il rischio che Il Volo potesse vincere anche questa volta il Festival, screditando la loro canzone e attribuendole il voto più basso, si era rivelato di nuovo fallimentare dato che le agenzie di scommesse li davano tra i favoriti del pubblico, al secondo posto dopo il cantautore Ultimo. Tuttavia, appariva evidente che il sistema di voto della nuova edizione 2019, che escludeva la giuria demoscopica nelle ultime due serate sostituendola con quella denominata “d’onore” e il voto della stampa li avrebbe penalizzati.

La sera del 5 febbraio, arriva finalmente per tutti il momento di ascoltare, valutare e votare le proposte musicali dei 24 artisti in gara per la 69^ edizione del Festival. Ed eccomi davanti al televisore ad assistere, per la prima volta in vita mia, a questa bizzarra kermesse. In attesa di conoscere la nuova proposta de Il Volo, mi ritrovo ad ascoltare la solita litania di testi privi di melodia, di cantanti che declamano invece di cantare e di altri che tentano di intonare una nota alta ma sono incapaci di reggerla senza urlare sgraziatamente a squarciagola fino a perdere il fiato.

Da quando sono arrivata in Italia, dopo essere cresciuta a Londra nel periodo di maggiore fermento musicale, dove ho formato il mio gusto ascoltando gruppi e cantanti dei più diversi generi che hanno fatto la storia della musica, non sono mai riuscita a capacitarmi della predilezione che nutrono i miei connazionali per cantautori senza voce e per canzoni senza musica. Non esistevano – e non esistono tuttora tranne Bocelli e Il Volo – equivalenti italiani di interpreti come Freddie Mercury, Tom Jones, George Michael, Sting, Stevie Wonder, o i più attuali Bryan Adams, Michael Bublè, Josh Groban, John Legend, per citare solo alcune delle splendide voci maschili che hanno costellato il firmamento delle star della musica leggera mondiale.

Cosicché quanto finalmente arrivano loro, gli unici veri cantanti professionisti della serata, tiro un sospiro di sollievo. Il brano “Musica che resta” è obiettivamente bello e particolare, con una introduzione strumentale delicata che riecheggia le sonorità di una ballata medievale e si fonde con la voce calda e sensuale di Gianluca, per poi esplodere in un crescendo con l’acuto squillante e appassionato di Ignazio e la potenza vocale da tenore eroico di Piero. Un brano epico, potente, una melodia che si sposa perfettamente con i versi del testo.

Mi meraviglia ogni volta la maestria con cui questi interpreti così giovani sono in grado di controllare le loro voci che diventano veri e propri strumenti in grado di dialogare con gli strumenti dell’orchestra formando un tutt’uno armonico, un risultato che denota studio, serietà, accuratezza, perfezione tecnica, e soprattutto talento, quello vero, che non conosce tempi, generi o mode. Il pubblico di tutto il mondo lo capisce, i critici stranieri lo capiscono, quelli italiani no. Perché? E’ una domanda che mi pongo da tempo, da ben prima di conoscere Il Volo, perché l’incapacità di riconoscere il talento è una caratteristica riscontrabile non solo in campo musicale ed è quello che tutti deplorano nel nostro paese, la mancanza di meritocrazia che spinge tanti nostri talenti a fuggire altrove dove trovano chi sia in grado di apprezzarli.

All’estero nessun giornalista o intervistatore pone mai la questione del genere interpretato dal trio, essendo perfettamente consci che il loro successo è dovuto alle loro doti vocali. Sulla locandina del Royal Albert Hall, il prestigioso teatro londinese dove Il Volo si è esibito nel 2017, si leggeva “il trio che ha conquistato il mondo con il loro straordinario talento vocale e la presenza scenica” non il trio che ha conquistato il mondo con il canto tradizionale italiano.

Un direttore d’orchestra e vocal coach di Las Vegas, Myron Heaton, grande estimatore de Il Volo, in una recente recensione scrive:

«Vi è mai capitato di provare brividi lungo la schiena mentre li ascoltate? Vi è mai capitato di trattenere il fiato quando emettono un acuto? Troppi cantanti non riescono a usare un timbro soffice senza finire con un suono morto e non riescono ad emettere un acuto senza trapanare il cervello di chi ascolta. Ma questi tre cantanti sono in grado di mantenere un timbro morbido con assoluto controllo e gradevolezza. C’è un modo in cui Ignazio e Gianluca, in particolare, sanno “accarezzare” e “romanticizzare” una bella frase d’amore facendo provare all’ascoltatore un impeto di emozioni. E ciascuno dei tre riesce a raggiungere note alte producendo un suono stupendo e ampio che riempie la stanza senza essere aspro o stridente. Le loro voci generano quel tipo di suono che arriva dritto al cuore e provoca brividi.»

E parlando di talenti italiani sconosciuti in patria ed acclamati nel mondo, ecco che in quarta serata fa il suo ingresso in scena uno straordinario virtuoso del violino, Alessandro Quarta, per duettare con Il Volo. Fin dalle prime note mi rendo conto che sto per assistere ad una rara esibizione di musica di altissima qualità, una di quelle che mai avrei immaginato di poter ascoltare al Festival di Sanremo.

Il brano “Musica che resta” è introdotto da un assolo di violino in cui Quarta esegue una interpretazione personale dell’inciso mentre i tre cantanti lo osservano dalla cima della scalinata, poi lentamente lo raggiungono per dare luogo ad una sorta di spettacolare jam session in cui voci e violino duettano, intrecciandosi, inseguendosi, incastrandosi, fondendosi, mentre i quattro artisti si muovono sul palco seguendo le evoluzioni della musica, totalmente assorbiti ed estraniati da ciò che li circonda. Quando il brano termina e si fermano, sembrano esausti come se avessero dato fondo a tutte le loro energie. Il pubblico percepisce il dono che gli è stato offerto e risponde con una entusiastica standing ovation. Ed io mi chiedo per l’ennesima volta cosa abbia spinto questi talentuosi artisti ad esibirsi in quel contesto. Senza voler essere offensiva nei riguardi degli altri cantanti, mi sembra di veder correre una Ferrari in una gara per utilitarie sgangherate, tanto appare abissale il confronto tra loro e la maggior parte dei concorrenti. Il paradosso è che proprio chi è preposto a giudicare non sembra rendersene conto. Forse, troppo abituati alla mediocrità e alla approssimazione fanno fatica a riconoscere il vero talento e la professionalità, oppure ne sono infastiditi perché li mette dinanzi alla loro inadeguatezza. Oppure, più verosimilmente, eseguono direttive impartite da chi ha interessi che esulano dall’arte.

Il duetto de Il Volo con Alessandro Quarta ottiene il maggior numero di televoti da parte degli spettatori che votano da casa, ma la giuria d’onore concede il premio speciale per il miglior duetto ad altri.

Nel frattempo, durante le giornate del Festival si susseguono le interviste. Ascoltando alcune delle critiche rivolte a Il Volo mi capita di provare imbarazzo per quei giornalisti e sedicenti “esperti” le cui esternazioni verranno viste da spettatori stranieri i quali si chiederanno come possano scrivere per testate importanti persone che danno prova di tale sconcertante impreparazione. Una giornalista, ad esempio, li esorta a “darsi al rap” e verrebbe voglia di chiederle se le sarebbe mai venuto in mente di rivolgere una simile proposta a Whitney Houston, Michael Bolton o a qualsiasi altro artista con il dono di voci come le loro. Un altro “genio” della critica italiana afferma che il duetto con Quarta ha fatto fare “tre passi indietro” al brano de Il Volo, poiché il violino è espressione di classicità. Durante una trasmissione televisiva, Gianluca si inalbera – a ragione – in diretta quando una sedicente critica musicale dichiara di aver dato alla loro canzone un voto basso perché ritiene il loro genere troppo classico. Alla fine, educato com’è, finisce pure per chiederle scusa quando dovrebbe essere invece lei a scusarsi con tutti gli italiani per occupare un ruolo che chiaramente non le compete. Un critico degno di questo titolo, infatti, deve limitarsi a valutare una performance di qualsiasi genere musicale, non suggerire all’artista quale interpretare secondo i suoi gusti personali. E’ come se ad un saggio di pianoforte si presentasse uno studente con un brano di Mozart o di Chopin e la commissione, anziché valutare la sua esecuzione, lo bocciasse perché non ama quei compositori.

I nostri esperti manifestano oltretutto una ignoranza imbarazzante, dimostrando di non conoscere affatto l’accezione del termine “classico”. In latino, classico significa eccellente e la cultura classica, intesa come greca e latina, è considerata un esempio di perfezione. Al concetto di eccellenza si è poi sovrapposta un’idea di tradizione, di identità culturale, classico è diventato un simbolo della radice storica di un popolo ma anche di un’epoca. Quando parliamo di musica classica, intendiamo un genere colto ma che possiede anche una qualità tale da incidere profondamente sull’immaginario collettivo di persone di diverse epoche e culture. Riferendosi a brani musicali come a libri, un classico è un’opera che ha la capacità di trasmettere valori ed emozioni a chiunque, in qualsiasi epoca. In altre parole, classico è tutto ciò che ha un valore talmente alto e universale da diventare il simbolo della cultura stessa. Quindi, quando i nostri critici accusano Il Volo di essere classici in realtà stanno esprimendo un complimento non una critica. 

D’altra parte, esistono critici musicali competenti in Italia? Il brano “Musica che resta” realizza un connubio perfetto tra pop e lirica e rispetta tutti i canoni della canzone nel senso tradizionale del termine; ha una introduzione, una strofa, un ponte o bridge che “traghetta” verso il ritornello, ha uno “special”, una chiusura e arrangiamenti che si adattano perfettamente alle diverse vocalità dei tre cantanti. E’ evidente che si tratta dell’opera di veri professionisti eppure nessuno dei nostri cosiddetti esperti è stato in grado di capirlo. Tra le loro affermazioni una sola è vera: “Il Volo è adatto ad un pubblico americano e straniero” dato che all’estero un prodotto non ha alcuna possibilità di ottenere successo se non è curato, preciso e completo sotto ogni aspetto. Il Made in Italy è sinonimo di accuratezza, perfezione e qualità nel mondo ma in campo musicale sono purtroppo in pochi a rappresentarlo. Il nostro Paese dà il meglio di sé quando incrocia i suoi cromosomi antichi e le sue tradizioni con l’innovazione ma senza abbandonare la propria identità. Alessandro Quarta, avendo lavorato prevalentemente all’estero, ne è ben consapevole e dà una lezione magistrale ai tanti esterofili e autolesionisti italiani. «Stimo tantissimo i ragazzi de Il Volo, sono gli unici artisti italiani internazionali. Sono amati in tutto il mondo» dichiara in una intervista «Da italiano e da musicista è importante. Abbiamo inventato tutto noi italiani, dalle note agli strumenti. Non ce lo dimentichiamo. Siamo figli del Bel Canto. Non vergogniamoci di essere italiani».

Consapevoli che in ultima serata avrebbe prevalso il voto della stampa e della giuria “d’onore”, Gianluca, Ignazio e Piero apparivano ormai rassegnati a non ottenere nemmeno il podio, nonostante l’enorme gradimento del pubblico espresso attraverso il televoto nelle serate precedenti. Pertanto, non nascondono la loro gioia e sorpresa nel ritrovarsi tra i tre finalisti del Festival ed abbracciano con sincero affetto il primo classificato, Mahmood, ancora frastornato per l’inaspettata vittoria, essendo stato tra i meno votati dal pubblico.

Nessuno poteva immaginare, a quel punto, che stava per iniziare la parte più controversa del Festival.

Ad aprire la polemica è il secondo classificato, Ultimo, che in conferenza stampa attacca violentemente i giornalisti presenti: «Avete rotto il cazzo!» urla infuriato «avete solo questa settimana per sentirvi importanti e avete la presunzione di giudicare gli artisti e decidere quale dovrebbe essere il loro futuro artistico».

L’indomani, la stampa replica con articoli in cui Ultimo viene definito arrogante, presuntuoso, incapace di incassare la sconfitta, e lui pubblica un video per spiegare la sua reazione, rivelando che i giornalisti avevano chiamato lui “coglioncello” e “deficiente” e i tre artisti de Il Volo “pezzi di merda”.

Contemporaneamente, il conduttore televisivo e disc jockey Francesco Facchinetti condivide sui social un video accompagnato da un duro commento “Io vi prenderei a calci in culo fino alla fine del mondo: idioti, coglioni, buffoni”. Si scopre che i suoi insulti sono rivolti ad alcuni giornalisti della sala stampa ripresi mentre esultano per il terzo posto de Il Volo, alzando il pugno in segno di vittoria e urlando “merde”, “siete delle merde”, “fate schifo” e altri epiteti irripetibili all’indirizzo dei tre giovani cantanti. Poco dopo, viene diffuso un altro video in cui un giornalista grida “in galera” appena Il Volo, che interpreta il brano “Musica che resta”, appare sullo schermo gigante che ritrae i concorrenti in gara sul palco dell’Ariston. Un ben triste spettacolo vedere quest’uomo semi pelato e trasandato di mezza età inveire in modo sguaiato all’indirizzo di artisti intenti a cantare l’amore con tutta la passione della loro giovinezza. Sembra quasi l’immagine della contrapposizione tra bene e male, tra purezza e malvagità, tra eleganza e rozzezza. 

Questi video diventano immediatamente virali e fanno il giro del web e del mondo, suscitando l’indignazione non solo dei fan ma anche di persone che dichiarano di non averli mai seguiti prima. La condanna, infatti, è unanime e altri artisti si schierano in difesa dei ragazzi de Il Volo, esternando il loro sdegno sui social. Giornali e trasmissioni televisive riportano la vicenda, parlando di “bullismo e orrore in sala stampa”, c’è chi invoca la cancellazione dall’albo per i giornalisti che si sono macchiati di questa infamia i quali, nel tentativo di difendersi, peggiorano la loro posizione, chi sostenendo che si trattava di un “atto di goliardia”, chi invocando la “privacy” di poter insultare chiunque senza essere ripresi, chi dichiarando di essersi sentiti autorizzati a bullizzare questi ragazzi avendo notato che erano già il bersaglio di haters nel web. Spuntano twitter di giornalisti che dichiarano pubblicamente di essere onorati di far parte della “brigata anti-volo”. Un giurato accreditato della sala stampa racconta che quando erano rimasti solo tre concorrenti in gara, molti avevano gridato «Il Volo no! Per carità! Meglio il silenzio eterno».

Nessuno tuttavia è riuscito a spiegarsi il motivo di un tale dispiegamento di forze, energie e tempo per contrastare tre cantanti, neanche fossero un esercito di invasione nemico. E pareva quasi che qualcuno li ritenesse tali, visto che alla notizia del loro terzo posto, un giornalista twitta: “Pericolo scongiurato, abbandonare i rifugi anti-atomici, il paese è salvo!”.

Una fan spagnola, in un commento, esprime tutto lo sconcerto che tale comportamento suscita negli stranieri: «È incredibile! La stampa italiana fa ogni sforzo per distruggerli. Quello che non capisco è la ragione di tanto accanimento per combattere tre ragazzi che cantano. Per alcuni giornalisti sembrano diventati il nemico numero uno. Ma sono solo tre cantanti, non sono i governanti di un paese nemico. Perché tanti sforzi per annientarli? È come se fossero diventati un’icona, un simbolo da abbattere»

Alcuni giorni dopo, Gianluca, Ignazio e Piero decidono di rompere il silenzio e pubblicano sulla loro pagina ufficiale un comunicato pacato e garbato, ma che riflette anche tutta la loro amarezza

Abbiamo avuto bisogno di qualche giorno per essere lucidi e dire la nostra su quanto accaduto.
Alcuni giornalisti (ed è bene dire solo alcuni) ci hanno pesantemente insultato. Hanno usato parole come “merde”, “vaffanculo”, “in galera”, che consideriamo come il frutto di una vera e propria forma di bullismo, di sfottò da stadio. Queste persone non hanno portato gloria all’ordine che rappresentano, il loro atteggiamento è stato un insulto, prima che a noi, a tutti i colleghi giornalisti che svolgono il proprio lavoro in maniera seria e professionale.

In 10 anni abbiamo ricevuto molte critiche sulla nostra musica, sul genere che cantiamo, siamo stati accusati di essere arroganti e spocchiosi.
Non abbiamo mai dato importanza a tutto ciò, anche perché, fortunatamente, abbiamo sostenitori che ci supportano quotidianamente e amano quello che facciamo. Ma quando vediamo dei video che testimoniano la cattiveria e la poca umanità da parte di persone che potrebbero essere nostri genitori (molti anche nostri nonni), ci dà molto fastidio. Fastidio perché ogni artista deve avere il proprio spazio di espressione musicale. Essere chiamati “merde” o vedere qualcuno che sbraita “in galera” solo perché stiamo facendo quello che ci piace fare nella vita è molto irrispettoso, nei nostri confronti ma soprattutto nei confronti della libertà di espressione. La musica dovrebbe essere libertà non motivo d’insulto!

Questa reazione elegante, composta ed equilibrata suscita l’ammirazione di tutti, anche in considerazione del fatto che in conferenza stampa, a differenza di Ultimo, avevano mantenuto la calma pur sapendo di essere stati offesi ed avevano risposto educatamente alle domande dei giornalisti.

Sui social, utenti che confessano di averli bullizzati in precedenza perché “così facevan tutti” dichiarano di aver cambiato opinione su di loro. Persino il rude Monina, il critico musicale che li aveva definiti “bimbiminkia”, pubblica sul suo profilo un video in cui scherza assieme a loro durante una intervista e ammette di essersi ricreduto avendoli conosciuti di persona: «Non sono mai stato tenero con Il Volo, i miei articoli parlano per me.» dichiara «Però in questo caso sentivo di doverlo fare. Almeno come atto riparatore nei loro confronti. E’ andata così: ho incontrato tre ragazzi che probabilmente per qualche errore di comunicazione sono apparsi come arroganti, presuntuosi e sopravvalutati. Io ho visto solo un gruppo di ragazzi con i quali ho interagito con molto piacere, a prescindere dal mio gusto personale per la loro musica»

Grazie al coraggio di Francesco Facchinetti, il clima di odio scatenato contro questi ragazzi da certa stampa è stato finalmente smascherato e tutti hanno potuto rendersi conto del boicottaggio feroce e sistematico cui sono stati vittime per anni. Chi non li conosceva ha avuto modo di apprezzare la loro signorilità, dignità e umiltà contrapposta alla cattiveria, la maleducazione e l’arroganza di chi dovrebbe rappresentare l’imparzialità, la serietà e la professionalità della stampa italiana.

Come si dice, non tutti i mali vengono per nuocere.

***

1) Recensioni di “Musica che resta”:

Il Volo sembra messo lì appositamente per irritare quelli che della canzone amano l’eleganza, l’umanità pacata e condivisibile, gli slanci emotivi che potrebbero sembrare verosimili” scrive Gino Castaldo su La Repubblica; “Sì sono messi in 5 per scrivere questa canzone, pure la Nannini, e forse piacerà molto. Ma a noi non ci frega. Proprio no. L’acuto alla Al Bano lo può fare solo Al Bano. «Tra miliardi di persone/ Ti ho riconosciuto nella confusione». Te credo, se urlate così è facile” si legge su Libero; “I vincitori di Sanremo 2015 tornano con un pezzo così scontato che lo conosci a memoria (e lo riesci a cantare) già dalla prima strofa, senza averlo mai ascoltato prima. Pensare che per scriverla si sono messi in cinque, e c’è persino la Nannini. Ma se non fosse per gli acuti selvaggi sembrerebbero i Modà” ironizza Raffaella Serini di Vanity Fair; “Il Volo rimane nel kitsch dell’opera-pop anche se i suoni di «Musica che resta» sono più moderni” scrive Andrea Laffranchi, Corriere della Sera; “L’impressione (e la speranza) è che l’epoca del Volo sia terminata. Musica che resta vede la firma anche di Gianna Nannini (ah!!!). Non crediamo che questa canzone resterà” profetizza Laura Berlinghieri su Amica; “Non è Grande amore. Ma sta sempre da quelle parti lì. Io potendo sto altrove” dichiara Michele Monina per Optima Italia; “Fotoromanza (c’è la Nannini tra gli autori) pop con licenza di urlare forte.” è il giudizio su Il Mattino di Federico Vacalebre il quale, come vedremo in seguito, in quanto ad urlare dimostrerà di non essere secondo a nessuno. “Inascoltabile il trio de Il Volo. “Musica che resta”, che tra l’altro porta anche la firma di Gianna Nannini, è un atto di presunzione: «Siamo musica vera che resta». È un pasticcio vocale barocco, pesante e kitsch, adatto a un pubblico americano” scrive Giuseppe Attardi, Pickline. “Il Volo ci sorprende con un brano in cui appaiono meno lirici del solito. Non sembrano neanche loro, mai stati così pop. Anche se il crescendo di orchestra e l’acuto finale, alla fine, ti costringono comunque a implorare: basta” dichiara Angelica D’Errico, Unione Sarda.

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6 commenti

  1. Patrizia. A wonderful and poignant article. I’m completely exhausted after reading itl! It has it all – facts, appropriate finger-pointing, and mea culpas. And thank you for mentioning Rolling Stone specifically. As an American based magazine, that third hand Italian reporter had a lot of gall in berating the Americans and I took great exception to it. I think the only thing missing, unless I didn’t understand it, was that the Italians and Europeans have stolen the American music, so they can’t call it their own which is another irony they don’t seem to grasp. If those genres (Boomdabash, Achille Lauro) were to compete with the artists in the US, they would be laughed off the stage as opposed to Il Volo who are recognized as true musicians. Will your article be published country wide or do you need our help in doing so? My concern is that people will become apathetic and all will go back to “normal”. Personally, I would like to see some real retribution shown these reporters and not just for Il Volo, but for future artists who shouldn’t be subjected to such boorish treatment.

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    • Dear Patrizia. Such wonderful news! You might want to add a foot note that Il Volo has been selected by the OGAE to represent Italy at their second chance competition. Yet another piece of information the “experts” should see. I’m sure you’ll be able to publish it. If you have difficulty then we’ll need to reach out to Torpedine for his publisher! And as far as selling it, with all the fans, you’ll have a best seller on your hands. I do hope you’re considering an English translation as well. Good luck and non vedo l’ora!

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